«Non siamo ancora partiti, e già siamo sotto attacco»: così dice Vanni Bianconi, uno dei partecipanti e degli organizzatori della ‘Global Sumud Flotilla’ diretta a Gaza, in un video visibile in rete. Si riferisce alle dichiarazioni delle massime autorità israeliane, che hanno annunciato che i membri della Flottiglia saranno considerati alla stregua dei terroristi, arrestati e incarcerati in strutture di massima sicurezza per un lungo periodo. Ma la Flottiglia non ha nulla a che vedere con il terrorismo: è un’iniziativa umanitaria e simbolica, che intende condurre a Gaza medicinali, viveri e generi di prima necessità.
Vanni ha dunque perfettamente ragione di dire quello che dice; ma nello stesso tempo si potrebbero rovesciare le sue parole: «Non siamo ancora partiti e già abbiamo ottenuto l’obiettivo di mettere a nudo il re». Il re è Israele, certo; ma è anche il governo dei Paesi occidentali, e nel nostro caso della Svizzera, che di fronte a una affermazione così insensata, così violenta e minacciosa da parte del governo israeliano dovrà adesso scegliere cosa fare: rimanere in un succube, cauto silenzio, o prendere una posizione forte. È troppo chiedere al Consiglio federale (ma lo stesso varrà per gli altri Paesi europei), e più in particolare a Ignazio Cassis, di reagire con fermezza, cercando di tutelare i suoi cittadini che non stanno facendo nulla di illegale di fronte alle minacce gravi e prive di fondamento giuridico delle autorità israeliane? È troppo chiedere che una democrazia come la nostra difenda il diritto internazionale e il diritto umanitario? È troppo chiedere che la Svizzera agisca nei confronti di Israele come ha già agito in passato con altri Stati aggressori? Questi sono i primi interrogativi che la coraggiosa iniziativa della Flottiglia suscitano in ogni cittadino; e sono interrogativi cruciali, persino drammatici, a cui per il momento le autorità svizzere non sembrano volere o sapere rispondere.
Non molto tempo fa il più grande scrittore israeliano vivente, David Grossman, che ha perso anni or sono un figlio, soldato israeliano, durante un’operazione militare, ha dichiarato con il cuore spezzato che ciò che sta avvenendo a Gaza è un vero e proprio genocidio. Sappiamo tutti quanto sia pesante e carico di atroci memorie un termine del genere, soprattutto se riferito a Israele e alla sua storia, che riconduce alla vicenda più cupa e mostruosa del ’900 europeo, cioè alla Shoah. Ma se a parlare di genocidio è uno scrittore come Grossman, forse è il momento di affrontare la realtà, di chiamare le cose con il loro nome, di abbandonare le sterili dispute lessicali, e soprattutto di smetterla di confondere l’opposizione alla politica folle di Netanyahu con l’antisemitismo, che qui c’entra come i cavoli a merenda.
Anche Vanni Bianconi è uno scrittore, ben noto in Svizzera e all’estero, e questo suscita un secondo interrogativo. È troppo chiedere che l’Associazione degli scrittori e delle scrittrici svizzeri (A*ds) faccia sentire finalmente la propria voce, faccia pressione sul Consiglio federale? Lo chiedo all’A*ds e al suo comitato; ma lo chiedo anche agli amici e colleghi che di questa associazione sono membri, in Ticino e nel resto della Svizzera (chi scrive si è distanziato da questo gremio un paio d’anni or sono).
In un precedente video, Vanni Bianconi affermava di essersi reso conto che la cultura non è più sufficiente per opporsi a ciò che sta accadendo nel mondo e a Gaza in particolare. È l’unico punto su cui discordo con lui: credo, continuo a credere, che la cultura, nel senso più alto e più inclusivo del termine, sia ancora il più formidabile antidoto alle derive violente, belliche e suicidarie che affliggono il nostro tempo. A patto però che la cultura non dimentichi le sue responsabilità civili e politiche, non smetta di far sentire la sua voce critica e poco gradita al potere. Proprio per questo penso che gli scrittori svizzeri, e la principale organizzazione che oggi li rappresenta, non possano sottrarsi al dovere di rompere il silenzio.