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Voi quella notte c’eravate

(Keystone)

Da quasi due anni assistiamo a un orrore per cui è ormai impossibile trovare parole adeguate. Gaza è devastata: città ridotte in macerie, ospedali bombardati, famiglie costrette a fuggire, e rifuggire ancora. Il 90% della popolazione è stata sfollata. Sono state accertate oltre 60’000 uccisioni, ma decine di migliaia di persone restano probabilmente sepolte sotto le macerie. Un terzo delle vittime, più di 20’000, sono bambine e bambini: una classe scolastica cancellata ogni giorno. Non sono semplici numeri: sono vite.

La commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha confermato quello che si sapeva in realtà da tempo: lo Stato di Israele sta perpetrando un genocidio. Gli atti commessi – bombardamenti indiscriminati, fame usata come arma, distruzione sistematica di infrastrutture civili, la volontà dichiarata di radere al suolo Gaza – rientrano a pieno titolo in ciò che il diritto internazionale definisce tale.

In Europa si moltiplicano intanto le voci che chiedono più spese militari. Ma non è per aumentare i bilanci della difesa che serve coraggio. Il vero coraggio, oggi, sta nella difesa del diritto internazionale umanitario: nel dire apertamente che nessuno Stato, nemmeno Israele, può porsi al di sopra delle regole vincolanti che proteggono le persone civili.

Queste regole, sancite dalle Convenzioni di Ginevra, si fondano su due pilastri semplici e universali: la distinzione, cioè l’obbligo di distinguere tra combattenti e civili, tra obiettivi militari e infrastrutture civili; e la proporzionalità, secondo cui un attacco non è lecito se i danni previsti ai civili sono sproporzionati rispetto al vantaggio militare ottenuto. È l’essenza del diritto umanitario. Eppure, a Gaza, questi principi vengono quotidianamente calpestati, sotto gli occhi di una comunità internazionale che sa, ma non reagisce.

Ed è qui che entra in gioco anche la Svizzera. Paese depositario delle Convenzioni di Ginevra, simbolo stesso del diritto umanitario. Fa impressione il silenzio del nostro governo, la prudenza diplomatica che si trasforma in immobilismo. Abbiamo reagito, giustamente!, con prontezza all’aggressione russa in Ucraina, condannando fermamente l’invasione e imponendo sanzioni. Ma contro Israele, nonostante i rapporti delle Nazioni Unite e gli appelli della società civile, nulla. Due pesi e due misure che erodono la credibilità del nostro Paese.

Oggi sembra essersene dimenticato, ma Ignazio Cassis lo aveva spiegato con enfasi e convinzione a proposito della Russia: neutralità non significa indifferenza. Neutralità significa molto più assumersi la responsabilità di richiamare chiunque, senza eccezioni, al rispetto del diritto umanitario. E se uno Stato – come oggi Israele – lo viola in maniera spietata, sistematica e prolungata, bisogna fare tutto il possibile per fermare queste violazioni. Serve pressione politica, diplomatica ed economica; serve sostenere senza ambiguità i tribunali internazionali; serve ribadire con forza che le regole valgono per chiunque, sempre.

Gaza ci mette davanti a un bivio: continuare a rifugiarsi dietro formule prudenti, o dimostrare finalmente il coraggio della coerenza. Non quello delle armi, non quello delle parate militari, ma il coraggio civile e politico di difendere la legge quando è più difficile farlo.

La storia non sarà indulgente. Giudicherà chi ha avuto la forza di difendere il diritto, e chi ha scelto di voltarsi dall’altra parte. Perché – come cantava De André – “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti. E anche se ora ve ne fregate, voi quella notte – voi c’eravate”.