Premi di cassa malati: i fatti non si discutono, si affrontano. I numeri non mentono. Nel 2024 ogni ticinese ha speso in media 5’900 franchi per prestazioni coperte dall’assicurazione malattie. La media nazionale è di 4’700. Nei Grigioni, con valli isolate e una popolazione anziana simile alla nostra, sono 4’100. Il Ticino detiene un primato amaro: 1’200 franchi in più a persona rispetto al resto del Paese. Non sorprende quindi che i premi ticinesi superino di oltre 100 franchi al mese la media svizzera. È un record che non può essere spiegato con la sfortuna o con circostanze eccezionali: siamo di fronte a una spesa fuori controllo. Questi dati dimostrano una verità semplice: la nostra spesa sanitaria è troppo alta. Non per fatalità, non per geografia e neppure solo per demografia. È un sistema che ha lasciato crescere a dismisura: troppi ospedali, troppi medici, troppi centri medici privati, un Pronto soccorso usato come porta d’ingresso universale. Consumiamo più prestazioni di altri cantoni, e di conseguenza spendiamo di più. Il risultato è un sistema inefficiente, che pesa come un macigno sui ticinesi e che oggi ci porta ad avere i premi più alti della Svizzera.
Di fronte all’ennesimo aumento, il direttore del Dss Raffaele De Rosa ha reagito come sempre: indignandosi, puntando il dito contro Berna e parlando di “sistema perverso”. È un disco rotto che sentiamo da anni. Certo, il sistema federale ha difetti che vanno corretti e su questo tutti concordiamo. Ma fermarsi a questa denuncia significa eludere il problema principale: gran parte delle leve per contenere la spesa sono cantonali, altrimenti come si spiega che cantoni vicino al nostro hanno costi sanitari e premi del 20-30% inferiori? De Rosa conosce bene questa realtà, e alcune misure come le moratorie sono state utili. Ma la linea scelta è chiara: meglio spostare il discorso altrove, a Berna appunto, piuttosto che affrontare riforme coraggiose e impopolari.
L’Udc ribadisce la sua posizione: non servono nuove lamentele, servono decisioni. Una pianificazione ospedaliera coraggiosa è indispensabile. Occorre ridurre il numero di strutture e concentrare le specializzazioni, eliminando costose duplicazioni. E se davvero è difficile intervenire sulle cliniche private – come sostiene De Rosa – allora si abbia almeno il coraggio di ridimensionare l’Ente ospedaliero cantonale, che è pubblico e sotto responsabilità politica diretta. Inoltre bisogna limitare l’afflusso di nuovi medici, in particolare dall’estero; ridurre la proliferazione dei centri medici privati che gonfiano la spesa; e regolare l’accesso ai Pronto soccorso, riservandoli ai casi urgenti. Infine, va aperto un confronto serio con i Cantoni che hanno dimostrato di saper gestire i costi senza compromettere la qualità delle cure. Altri lo hanno fatto. Anche noi possiamo farlo. Certo, è complicato e insidioso, ma serve coraggio politico, non possiamo più accontentarci delle solite reazioni indignate della durata di pochi giorni.