1989. Per i berlinesi finiva l’isolamento tra est e ovest. Per la Russia una rivoluzione, forse più importante di quella del 1917. La caduta dell’Unione Sovietica. Subito alcuni, sentendo “l’odore dei soldi”, cominciarono a “spolpare” lo Stato defunto delle sue aziende produttive e, con l’ausilio di investitori anche stranieri, hanno iniziato a guadagnare, fino a diventare l’attuale classe dirigente del Paese. E l’Occidente? Beato di aver perso il suo nemico mortale stava alla finestra. Gli “oligarchi” però, inebriati dai soldi facili, hanno dimenticato l’agricoltura. A nessuno di loro interessava. Più tardi, forse, per avere terreni edificabili a buon prezzo. Lo scioglimento delle cooperative agricole, criticabili ma redditizie nella produzione, privò le città del suo sostentamento. Nei negozi gli scaffali, dopo le scorte, rimasero desolatamente vuoti. Ed è qui che per l’Occidente, Stati Uniti in primis, passò il treno che si vede solo una volta. Sarebbe bastato un nuovo “Piano Marshall”. Un aiuto immediato alla popolazione. Invece il treno è passato e nessuno vi è salito. Così che i Russi tornarono a vedere come futuro lo Stato, sicuro e protetto senza caos, cioè il regime antecedente adattato alla modernità del possesso. Anche perché l’Occidente si è premurato di “occupare” gli Stati lasciati liberi da Mosca. A chi sarebbe giovato il Piano? Sicuramente all’Europa che si sarebbe trovata a incorporare una parte del mondo ricca con le sue industrie, le fonti energetiche e soprattutto le vaste e coltivate aree agricole. Per chi invece questo Piano era “tossico”? Per gli Stati Uniti. Essendo al di là dell’Atlantico e l’Europa confinante per loro la nuova situazione era economicamente e strategicamente “mortale”. L’Europa allargata sarebbe diventata autosufficiente. Anzi, una pericolosa antagonista.