Ogni volta che leggiamo sentenze con pene ridicole per reati sessuali, l’indignazione diventa rabbia. Stasera lo sono, tanto. Non è questione di essere “all’antica”: è questione di giustizia, di dignità, di sicurezza. Chi abusa, in qualunque forma, compie un atto violento. Non esistono carezze “innocenti” o sfioramenti “malintesi”: ogni violazione lascia una ferita che non guarisce mai. Nessuna pena potrà restituire ciò che è stato rubato – fiducia, serenità, libertà –, ma può dare un segnale chiaro: la violenza non è tollerata.
Ridurre le condanne per un “pentimento” di facciata significa dire alle vittime che la loro sofferenza vale meno di qualche parola. Significa dire agli abusatori che c’è sempre una via di scampo. Chi infrange l’integrità di un minore, o di chiunque, distrugge qualcosa di prezioso e irreparabile. Che sia insegnante, operaio o professionista, la colpa è la stessa. La pena deve essere esemplare. Non per vendetta, ma per giustizia. Le persone a cui affidiamo i nostri figli – educatori, allenatori, figure di fiducia – devono portare sulle spalle il peso della responsabilità. Quando questo patto viene tradito, si rivela tutta la fragilità di una società che non sa proteggere i più indifesi.
Questa non è una battaglia di soli genitori. È una battaglia di civiltà. Perché ogni passo indietro nella tutela di chi non può difendersi consegna la società alla debolezza. La giustizia non può essere un compromesso. Non può piegarsi alla convenienza. Deve stare dalla parte delle vittime soprattutto se si tratta di minori. Se la legge attuale non prevede pene adeguate, allora va cambiata. E noi dobbiamo pretendere che cambi.