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Quando si vaneggia su Israele

In questi giorni gli amici di Israele si scatenano scrivendo improperi su chi osa criticare la barbarie di Israele. Perlopiù in malafede, confondendo di proposito “israeliani con ebrei”, tirando a mano i “sopravvissuti” (ormai ultraottantenni, quelli che rimangono) quando, semmai, sono i loro discendenti che lottano, anzi, da vittime diventati carnefici... Sì, bombardano uccidendo scientemente decine di migliaia di civili palestinesi, comprese migliaia di bambini innocenti – altro che il ritrito “diritto di Israele di difendersi” – con il proposito neanche troppo velato di fare piazza pulita di Gaza per ripopolarla con abitanti graditi al governo israeliano. Questi sionisti del governo israeliano sono, né più né meno, una banda di bugiardi, ladri (di territori), assassini.

Siamo tutti d’accordo che Hamas sia un movimento terrorista, ma da uno Stato “democratico” ci si aspetterebbe che agisse diversamente e che non desse ordine ai suoi soldati di sparare ad altezza d’uomo e da cento metri a una mamma con due bambini piccoli, oppure sulle file di disperati affamati e scheletrici che aspettano la distribuzione del cibo, con la cinica scusa che tra di loro si nascondono terroristi di Hamas. E con il conseguente suicidio di decine di loro che non riescono più a vivere dopo l’abominio di cui sono corresponsabili. E poi, i fanatici si attaccano alle parole: “È genocidio o non è genocidio”. E vai con i paragoni con la Shoah. Il termine per qualificare l’uccisione, ripeto, di 50’000 o più civili è secondario come quello della devastazione di intere città e abitazioni di povera gente indifesa: barbarie può riassumere l’idea. Non deve quindi meravigliare – per quanto disdicevole – una deriva antisemita in molti.