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‘Dell’Artico mi mancano lo spettacolo del cielo, la quiete e la gestione del tempo’

Nei retroscena delle missioni di Marco Buttu, ospite ad Arbedo del Circolo culturale sardo Coghinas per un incontro su ‘Scienza e resistenza umana’

(Marco Buttu)
24 aprile 2025
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Tre anni ai confini dell’esistenza, in un luogo “dove non circolano soldi, non c’è un carcere, non ci sono virus né altre specie viventi, non ci sono rumori ma luce per tre mesi di fila e buio per altrettanti, dove le temperature scendono sotto i -80 °C e si fatica a respirare”. È l’esperienza vissuta in tre distinte missioni – 2018, 2021 e 2024 – da Marco Buttu nel cuore dell’Antartide, nella stazione di ricerca scientifica italo-francese Concordia. La descrizione è un estratto del libro “Marte bianco” – perché in quel luogo sembra proprio di stare su un altro pianeta – pubblicato a seguito della prima spedizione svolta da Buttu che è ingegnere elettronico e ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica e che domenica 27 aprile sarà il protagonista ad Arbedo, alle 15 presso il Centro civico, di un incontro dal titolo “Antartide, scienza e resistenza umana” organizzato dal Circolo culturale sardo Coghinas, e moderato dal presentatore e divulgatore scientifico Rsi Nicola Colotti.


Marco Buttu

Netto dualismo tra estate e inverno

«La vita a Concordia, che si trova sopra uno strato di ghiaccio spesso oltre tremila metri, cambia completamente tra l’estate e l’inverno», ci racconta il ricercatore, che abbiamo raggiunto telefonicamente in Sardegna. Un dualismo netto tra le stagioni che così Buttu descrive: «Nel periodo estivo, che va da novembre a febbraio, le giornate sono molto intense perché è possibile lavorare all’esterno della base per più tempo visto che le temperature si aggirano sui -30 gradi e sono dunque molto meno rigide che nell’altra metà dell’anno. In quel periodo la base è raggiungibile e pulsa di vita con un viavai di persone che raggiungono le 50-60 in pianta stabile».

L’arrivo dell’inverno trasforma radicalmente questo scenario: «A un certo punto il sole scompare del tutto e i ritmi circadiani si alterano completamente e per tre mesi non si vede altra luce che non quella artificiale. Di riflesso anche l’attività rallenta. Da febbraio a novembre Concordia diventa inoltre inaccessibile, e resta abitata da un team di 12-13 esseri umani, isolati e a stretto contatto. Del gruppo fanno parte oltre ai ricercatori, dei professionisti che si occupano della logistica e che supportano la nostra attività: un elettricista, un meccanico, un cuoco che con i pasti aiuta a scandire il tempo. C’è anche un medico dell’Agenzia spaziale europea». Quest’ultimo si occupa di studiare dal profilo della biologia umana il team, perché Concordia è il posto sulla Terra che più si avvicina alle condizioni che si trovano nelle missioni spaziali.

In questa convivenza forzata «i rapporti interpersonali cambiano totalmente e si diventa una sorta di famiglia con tutti i pro e i contro che ciò comporta», rileva Buttu. La gestione di queste relazioni costituisce un aspetto chiave durante la spedizione in inverno, che viene preparato meticolosamente con il supporto di una psicologa. Da questa prolungata convivenza in uno spazio ristretto emerge anche un fenomeno linguistico singolare: la “lingua antartica”, un gergo ibrido presente nelle diverse basi di ricerca che a Concordia mescola l’italiano e il francese.

Odori rarefatti, quasi inesistenti

Un’altra peculiarità dell’inverno è la rarefazione, quasi la scomparsa, degli odori: «All’esterno della base sono totalmente assenti, mentre all’interno ci sono ma sono molto pochi e sempre gli stessi. Non ci sono ad esempio i profumi personali perché tutti utilizziamo lo stesso tipo di sapone per lavarci, in quanto abbiamo un sistema di riciclaggio dell’acqua che impone l’impiego solamente di alcuni prodotti che ci vengono forniti. Mancano quindi le sfumature dovute ad esempio ai bagnoschiuma differenti».

Un archivio climatico nel ghiaccio

Nella prima spedizione Buttu si è occupato di astronomia, mentre nelle altre due prevalentemente di sismologia, lo studio dei terremoti e dei fenomeni sismici, e di geomagnetismo, ovvero lo studio del campo magnetico terrestre. I risultati più di rilievo emersi durante le missioni che Buttu ha svolto a Concordia riguardano l’ambito dell’astronomia e sono la scoperta di esopianeti, pianeti che orbitano attorno a stelle che non sono il nostro Sole, ma altre. In generale però la scoperta più significativa fatta nella base italo-francese riguarda il campo della glaciologia. «Quando si analizza il ghiaccio in profondità – e lì ricordo che è di tremila metri – si può ricostruire l’atmosfera del passato perché nel ghiaccio sono contenute delle bollicine d’aria. Più si scava e più dunque si trovano bollicine che risalgono a un passato lontano». Insomma, un archivio climatico inestimabile grazie al quale un progetto denominato “Epica” ha già ricostruito le condizioni atmosferiche degli ultimi 800mila anni, mentre un nuovo capitolo di questa ricerca promette di spingersi ancora più indietro nel tempo, fino a 1 milione e 200mila anni fa. Le evidenze emerse da queste ricerche sono due: «La prima è che l’aumento della temperatura terrestre è sempre stato correlato all’aumento dei gas serra. La seconda è che negli ultimi 800mila anni la loro concentrazione non è mai stata così alta come oggi». Un campanello d’allarme, insomma, che si aggiunge a tanti altri nel segnalare che è ora di cambiare rotta.


Marco Buttu

Lo yoga come ancora di stabilità

C’è una pratica che aiuta Buttu ad affrontare sfide anche estreme come la permanenza al Polo Sud al pieno delle sue potenzialità: è quella dello yoga, che rappresenta un’ancora di stabilità sia nel contesto artico che nella quotidianità più comune. Una disciplina coltivata da anni e approfondita durante i suoi soggiorni in India che non si limita a un mero esercizio fisico, ma è uno strumento che lo riporta in equilibrio. «Ciascuno di noi ha diverse difficoltà nella vita, per un motivo o per l’altro sperimentiamo tutti una sofferenza che ci accomuna. Questa pratica mi aiuta a stare sereno qua nel mondo normale e forse ancor di più a Concordia, proprio per la particolarità dei rapporti tra le persone che si crea. Lo yoga mi riporta ogni giorno a un punto zero che sgombera la mia mente dai problemi. Poi magari risorgono ma non si accumulano a quelli del giorno precedente, non si accumulano le tensioni, il nervosismo o qualsiasi altra cosa possa contribuire a minare la stabilità e la serenità. Quando mi dedico a questa attività, come anche alla scrittura, sono completamente focalizzato su quello che sto facendo e non penso magari alla distanza dal resto del mondo se sono in missione».

Il desiderio di condividere un’esperienza unica

“Marte Bianco” è nato dal piacere per la scrittura e dal desiderio di condividere un’esperienza unica. Ciò che Buttu nell’ultima spedizione ha potuto fare anche “in diretta” sui social media perché – e questa è stata una grossa novità – nella base aveva a disposizione internet a banda larga sul cellulare. «Ho iniziato a pubblicare dei video e a ricevere centinaia di commenti e messaggi a cui rispondere – dice il ricercatore –. Il mio tempo libero è stato dedicato in buona parte a tenere tali rapporti con il resto del mondo e questo mi ha fatto sentire molto più vicino a tutti gli altri. A differenza delle prime due volte non ho avuto per nulla la percezione di essere la persona più isolata del pianeta e anche il tempo mi è parso trascorrere molto più velocemente». Ora Buttu si trova in Sardegna e la scrittura rimane un suo impegno costante, con due nuove pubblicazioni all’orizzonte, tra cui un romanzo. Il ritorno in Antartide è una possibilità a cui per ora non sta pensando e che valuterà con sua moglie, a seconda dei progetti in corso nel caso lo dovessero richiamare.

Di quel mondo lontano e quasi alieno gli mancano alcuni aspetti. «La quiete – ci dice –, il silenzio e un controllo del tempo che nella frenesia della vita “normale” è difficile da ritrovare. Qui ogni giorno ci sono degli inconvenienti e ritagliarsi regolarmente dello spazio per sé è complicato». Ma a mancargli è anche lo spettacolo del cielo artico che incanta. In estate è estremamente terso grazie al clima secco e c’è una luminosità che avvolge l’intero paesaggio. Le infinite notti di inverno invece svelano un firmamento di stelle nitidissime, anche grazie all’assenza di inquinamento luminoso. «Una veduta mozzafiato che il freddo pungente permette di ammirare solo per brevi momenti». Ma forse è proprio questa la poesia.


Marco Buttu