In un mese deceduti 2 giovani migranti a Balerna. L’artista Isabel Lunkembisa spiega perché questi profughi arrivano a togliersi la vita. Lei ci è passata
Scappano da un Paese in guerra, sopravvivono da soli (non si sa come) alle carceri in Libia, ai barconi sovraffollati, per finire spesso a dormire sui marciapiedi di Roma, Parigi o togliersi la vita in Ticino. Ragazzini soli, in fuga, obbligati a crescere molto in fretta. Stare nei Centri federali d’asilo in attesa di una decisione, isolati dai coetanei, senza famigliari, per alcuni è insopportabile. «Dopo tanta sofferenza, arrivano in Ticino coltivando l’illusione di avere trovato un rifugio, ma non è così. L’attesa nei Centri federali è molto difficile per questi adolescenti. Oltre all’accoglienza burocratica, serve anche quella affettiva, ad esempio in famiglie affidatarie. Su questo aspetto, il Ticino alza solo muri», commenta Gabriela Giuria Tasville, la direttrice della fondazione Azione Posti Liberi, che aiuta in vari modi chi, alla ricerca di un Paese d’asilo, deve abbandonare la propria patria.
I minori non accompagnati che si rifugiano in Svizzera vengono alloggiati prima nei Centri federali d’asilo e poi affidati ai Cantoni. Nel 2023, al Ticino ne sono stati attribuiti 133, alloggiati in vari foyer della Croce Rossa. La maggioranza segue un percorso di integrazione, alcuni invece vanno a sbattere contro nuovi ostacoli insormontabili. Come Aziz, il 14enne partito dall’Algeria e sbarcato, dopo un lungo peregrinare, al Centro federale d’asilo Pasture a Balerna. La sera del 31 marzo scorso il suo cadavere è stato rinvenuto nel greto del riale Raggio a Balerna. Mancava dal Centro federale Pasture da ben tre giorni. Non era ancora stato affidato a un Cantone. Pare avesse un fratello. “Gli piaceva il footbalino”, è tutto ciò che sappiamo di lui. Qualche giorno fa, un altro ragazzo, giunto qui, dal Guatemala, sempre ospite al Centro federale Pasture, si è tolto la vita gettandosi da un cavalcavia a Chiasso. Aveva 20 anni. Avevano raggiunto la loro terra promessa... per morirci.
Oltre a sollevare pesanti dubbi sull’adeguatezza dell’accoglienza nel Centro federale Pasture, questi drammi risvegliano smarrimento in altri rifugiati, arrivati prima di loro, che ci danno una chiave di lettura di questa sofferenza: essere invisibili nella produttiva mamma Elvezia. «La storia di Aziz mi ha profondamente commossa e ferita. Come lui, avevo 13 anni quando ho chiesto asilo a Basilea: ero sola, l’unica minorenne tra cento adulti rifugiati. Si dormiva in due stanze ammucchiati in un bunker sotto la scuola. La mattina bisognava uscire e rientrare la sera. Giravo per le strade della città senza sapere che cosa fare, senza una meta, senza uno scopo. Faceva freddo. Per un anno mi sono sentita invisibile. Sentivo di non importare e mancare a nessuno», ricorda la svizzera-angolana Isabel Lunkembisa.
La guerra civile l’aveva brutalmente separata dai suoi genitori. «Avevo paura e dormivo sempre vestita». La pressione psicologica era forte. «Avevo un’aspettativa, ma mi sentivo abbandonata. Non nascondo di aver pensato di non voler più vivere». Un giorno – continua – ho deciso di rubare in un supermercato per iniziare finalmente a esistere. «È triste, ma in prigione mi sarei sentita più al sicuro. Mi andava bene anche venire rispedita in Angola. Almeno qualcuno avrebbe iniziato a occuparsi di me. E così è stato», spiega l’artista, traduttrice, insegnante di danza che dopo vari affidi ha fatto il suo percorso in Svizzera e oggi vive nel Locarnese.
In quasi 40 anni, l’accoglienza dei minori non accompagnati è certamente migliorata in Svizzera. Quando vengono assegnati ai Cantoni, pur non vivendo in famiglie, hanno alloggi adeguati, vanno a scuola, sono seguiti da vari operatori e da un curatore. «Mi sono chiesta perché Aziz non fosse in un foyer con gli altri minorenni dove poteva sentirsi al sicuro. Posso solo immaginare, come poteva sentirsi solo e in ansia aspettando la decisione dell’autorità. La presa a carico non funziona ancora come dovrebbe», insiste. Non tanto per l’attesa, ma per un’accoglienza che l’artista giudica poco empatica. «La Svizzera offre buone opportunità ai rifugiati. Qui si va a scuola, si impara un mestiere, si può costruire un futuro, ma se non sei forte, questo Paese ti ammazza psicologicamente». Cerchiamo di capire meglio… «C’è pressione, tante nuove informazioni in una lingua straniera, tante regole da rispettare, devi funzionare nel sistema ma c’è poca comprensione per la cultura dell’altro. Nessun assistente sociale mi ha mai chiesto dell’Angola, di come mi sentissi…», dice la donna, che è stata la prima rifugiata a fare uno stage, durante la maturità integrata, alla Seco ed essere poi stata assunta. «A volte mi sono sentita come un numero in più che riempiva la Svizzera». Lei ce l’ha fatta grazie a una signora, che oggi considera una seconda mamma, e l’ha saputa prendere dal verso giusto. «Sono restata da lei finché ho trovato un lavoro e poi sono andata ad abitare da sola».
Dello stesso avviso Gabriela Giuria Tasville: «Questi minori migranti sono vulnerabili, perché il percorso migratorio può durare anni, con tappe in Paesi poco accoglienti. Loro sono soli. Arrivano in Europa, accecati dalla sindrome della terra promessa, pensando che tutto si sistema, ma ad attenderli ci sono nuove grosse sfide» dice la direttrice della fondazione Azione Posti Liberi.
Per l’esperta dobbiamo davvero interrogarci sul tipo di accoglienza che stiamo offrendo, se permetta realmente una crescita affettivamente equilibrata. «Questi minori hanno bisogno di contatto sociale, di sentirsi inclusi, hanno un’età dove è ancora semplice diventare parte di una nuova comunità. Oltre all’accoglienza burocratica, serve anche quella affettiva, ad esempio in famiglie affidatarie. Su questo aspetto, il Ticino alza solo muri», precisa.
I minori, come Aziz, dovrebbero restare il meno possibile nei Centri federali d’asilo, perché vivono isolati. «Nei Centri federali c’è una scuola interna quindi sono separati dai coetanei. Diverse Organizzazioni non governative hanno espresso disappunto per una soluzione che viola il diritto fondamentale di integrare i ragazzi», aggiunge.
Ma gli ostacoli non sono finiti: «Quando un migrante in Svizzera compie 18 anni, mutano le misure di accompagnamento garantite in quanto minorenne e in alcuni casi rischia di dover lasciare la Svizzera. Alcuni diventano irregolari (sans papier) ed è proprio così che rischiano di finire vittime di organizzazioni criminali». I nuovi maggiorenni sono quelli che scompaiono maggiormente dai radar delle autorità. «Quando non ci sono i genitori, lo Stato deve tutelare i minori e mettere il loro interesse al centro. Le autorità lo fanno in Svizzera, ma non ci sono linee guida, ogni cantone segue la sua metodologia, servirebbero regole comuni ispirate dal diritto internazionale», conclude Gabriela Giuria Tasville.
Il caso di Aziz ripropone il tema dei minori migranti soli che spariscono dai radar delle autorità. Le cifre pubblicate da un collettivo di giornalisti di 12 Stati europei, ‘Lost in Europe’, sono spaventose: tra 2021 e 2023, almeno 50’000 sparizioni. Si teme finiscano in ostaggio di reti criminali che li obbligano a rubare, spacciare, prostituirsi. Il primo a lanciare l’allarme fu, nel 2016, Brian Donald, funzionario dell’Europol.
In Svizzera, la Segreteria di Stato della migrazione (Sem), le chiama ‘partenze incontrollate’: nel 2020 erano 269, tra loro anche ragazzini dai 6 ai 15 anni, migranti non accompagnati scomparsi dalla sera alla mattina dai radar delle autorità, a cui erano affidati. Cifre più recenti non ne abbiamo trovate. La Sem sta rielaborando, per ottimizzarlo, il sistema statistico sui richiedenti l’asilo minori non accompagnati. Niente dati prima di quest’estate. Torneremo alla carica.
Dal 2020, le misure di protezione dei minori non accompagnati ospiti nei Centri sono aumentate. Fino all’età di 15 anni devono essere accompagnati nelle uscite (Cosa ci faceva allora Aziz in giro da solo?). Difficile anche sapere in quale fase della procedura scompaiono. Anche qui niente cifre. Il portavoce della Sem Nicolas Cerclé: «Può intercorrere in qualsiasi momento della procedura d’asilo».
Su cosa fanno le autorità quando un minore non accompagnato scompare, sempre Cerclé: «Chi non rientra dalla libera uscita viene segnalato quotidianamente alla polizia. Le denunce per i mancati rientri di minorenni non accompagnati sono eseguite analizzando i casi specifici, applicando un ragionevole termine di attesa».
In Svizzera sappiamo di più su pipistrelli e api che scompaiono, rispetto a quanti baby migranti soli svaniscono nel nulla. Aziz mancava da tre giorni dal Centro federale di Balerna: la polizia lo stava cercando? Di nuovo, nessuna risposta, questa volta per motivi di privacy.