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‘A intraprendere misure legali è quasi solo chi ha già perso il posto’

Chi subisce molestie sul lavoro è vittima su due piani, quello dell’integrità personale e quello professionale. Intervista all’avvocata Debernardi

(Keystone)
10 giugno 2025
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«Recentemento ho seguito il caso di una ragazza che durante la sua prima esperienza lavorativa nel settore della ristorazione ha subito delle molestie sessuali molto gravi e ora vuole fare una riconversione professionale perché non se la sente più di rimettere piede in una cucina, ha troppa paura che le succeda di nuovo». Questa drammatica vicenda citata da Valerie Debernardi – avvocata esperta in diritto del lavoro – è solo una delle innumerevoli storie che mostrano come le molestie sessuali sul posto di lavoro portino spesso, di pari passo con sentimenti come umiliazione, ansia, paura e vergogna, anche alla rimessa in discussione di progetti professionali. D’altronde, come evidenziano gli studi e come la stessa Debernardi constata nella propria pratica, quando una persona decide di intraprendere misure legali per delle molestie sessuali subite sul posto di lavoro, nella stragrande maggioranza dei casi lo fa «solo dopo essere stata licenziata o aver dato le dimissioni – evidenzia l’avvocata –. Considerando anche quanto possa essere difficile ritrovare una certa sicurezza per poter affrontare un nuovo posto di lavoro, risulta evidente che queste persone sono vittime su due piani: quello della propria integrità personale che viene violata e quello professionale».

La definizione giuridica

Ma cosa si intende quando si parla di molestie sessuali sul lavoro? Debernardi – che sabato 14 giugno terrà a Giubiasco una formazione sul tema – spiega che dal punto di vista giuridico si intendono tutti i comportamenti di natura sessuale o sessista che si verificano nel contesto lavorativo, sono indesiderati dalle persone che se sono oggetto e sono percepiti come una violazione dell’integrità personale. Per una definizione precisa rinvia alla Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) che all’articolo 4 relativo al ‘Divieto di discriminazione in caso di molestia sessuale’ così recita: “Per comportamento discriminante si intende qualsiasi comportamento molesto di natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la dignità della persona sul posto di lavoro, in particolare il proferire minacce, promettere vantaggi, imporre obblighi o esercitare pressioni di varia natura su un lavoratore per ottenerne favori di tipo sessuale”. Altre basi legali rilevanti si trovano nella legge sul lavoro, nel Codice civile, nel Codice delle obbligazioni e nel Codice penale.

Piattaforme di comunicazione e amplificazione

«La definizione è in realtà molto ampia perché molto ampie possono essere le relative manifestazioni», commenta Debernardi, stilando un elenco che va da osservazioni o battute svilenti, allusive o oscene, a racconti a contenuto sessuale non richiesti; da gesti o atteggiamenti osceni, a contatti fisici, fischi, sguardi, messaggi o e-mail indesiderati; da inviti insistenti a bere qualcosa, a palpeggiamenti e baci, fino ai casi più gravi di ricatti sessuali, aggressioni sessuali e stupri. Con l’evoluzione della tecnologia stanno inoltre venendo a galla nuove forme di perpetrazione delle molestie sessuali. «Effettivamente – osserva Debernardi – i social e in generale tutte le piattaforme di comunicazione come WhatsApp, Instagram, Snapchat possono essere dei mezzi anche per amplificare le molestie creando un impatto ancora più devastante sulle vittime. Attualmente sto seguendo un caso eclatante in cui degli uomini su un posto di lavoro si filmavano mentre compivano delle molestie su delle colleghe che andavano da commenti inopportuni a palpeggiamenti e poi condividevano i video tra colleghi».

Pur essendo ampia la definizione, considera l’avvocata, «chi è vittima di molestie sessuali se ne rende perfettamente conto perché prova un chiaro disagio, sente invasa e lesa la propria intimità». Quanto al contesto, questo comprende il posto di lavoro e tutti gli altri luoghi o eventi associati al lavoro – che possono essere la mensa, la cena di Natale, i viaggi di servizio –, nonché i contatti legati al lavoro al di fuori dell’orario lavorativo e anche con persone esterne all’azienda come clientela, pazienti, fornitori.

Il 52% degli interpellati ne ha vissute

È risaputo che le molestie sessuali che sfociano in denuncia sono solo la cosiddetta punta dell’iceberg. Il fenomeno resta infatti molto diffuso, dice Debernardi rifacendosi anche al recente ‘Studio sulle molestie sessuali sul posto di lavoro’ commissionato dall’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo (Ufu) e dalla Segreteria di Stato dell’economia (Seco) pubblicato nel dicembre 2024. Nel rapporto si legge che “oltre la metà delle persone interpellate – che sono state 2’533 – (52%) ha vissuto nel corso della propria vita lavorativa almeno uno dei comportamenti di natura sessista o sessuale oggetto del sondaggio”, le donne più frequentemente degli uomini. Per quanto riguarda il genere dell’autore o dell’autrice, si constata che, “in generale, sono nettamente più spesso gli uomini e più raramente le donne ad avere comportamenti potenzialmente molesti. Sia gli uomini (67%) sia le donne (85%) riportano più frequentemente episodi in cui uno o più uomini sono stati gli autori”.

Poca consapevolezza sui diritti

Dallo studio risulta anche che persiste un’ignoranza abbastanza importante rispetto al quadro legale: «La consapevolezza rispetto ai diritti e agli obblighi sia da parte degli impiegati che dei datori di lavoro è ancora parecchio lacunosa – testimonia l’esperta di diritto del lavoro –. Gli impiegati e le impiegate non conoscono ad esempio a sufficienza il fatto che chi denuncia dei casi di molestia è protetto dal licenziamento ai sensi della LPar e così ancora oggi in troppi pagano l’altissimo prezzo di perdere il posto di lavoro prima di intraprendere azioni legali. Pochi sanno poi che quando si verificano licenziamenti abusivi per aver denunciato molestie sessuali accertate è possibile richiedere un’indennità pari al massimo di 6 mesi del proprio stipendio e per le molestie subite si può richiedere un’ulteriore indennità pari a 6 mesi di stipendio medio svizzero. Un consiglio che mi sento di dare è di segnalare immediatamente le molestie subite, se si riesce direttamente alle risorse umane o ai propri superiori, altrimenti a un sindacato o a un altro rappresentante legale. Questo perché dal momento in cui le cose vengono messe nero su bianco per il datore di lavoro scatta l’obbligo di agire ed è anche più facile proteggersi da rappresaglie. Infine per fatti gravi la vittima può sicuramente anche sporgere denuncia penale direttamente contro l’aggressore».

La responsabilità dei datori di lavoro

Per quel che concerne i doveri dei datori di lavoro, questi rientrano sotto l’obbligo di diligenza che implica «da un lato la prevenzione adeguata dalle molestie che passa anche dal creare un ambiente lavorativo che permetta di poter segnalare se succede qualcosa – indica Debernardi –. A tal fine ci vuole in primo luogo un’informazione esaustiva su cos’è una molestia e su quali sono i procedimenti nel caso la si subisca, ma anche un clima che rassicuri rispetto all’atto di denunciare. D’altro canto, nel caso arrivino delle segnalazioni, l’obbligo di diligenza prevede anche che si conducano indagini efficaci e si adottino delle misure per proteggere la persona che ha denunciato ed evitare che le molestie si riproducano. A questo proposito è molto interessante una sentenza del Tribunale federale del 15 marzo 2023 che ha specificato quali sono questi obblighi e che non basta semplicemente avviare delle indagini: se queste risultano superficiali o troppo brevi, se la vittima è confrontata col suo aggressore, le azioni messe in campo dal datore di lavoro non possono essere ritenute sufficienti». A tal proposito Debernardi tiene a sottolineare quanto sia fondamentale il ruolo del datore di lavoro, «perché dal momento che mancano la prevenzione o un intervento efficace, il “laisser-faire” potrebbe portare a delle conseguenze molto gravi. Nel caso dei colleghi che filmavano le molestie, è successo che quasi tutte le impiegate che lavoravano in quell’azienda se ne sono andate nell’arco di 2-3 anni. Significa che il problema era sistemico. E come visto le conseguenze psicofisiche possono essere veramente importanti e determinare una vulnerabilità e una difficoltà a ricostruirsi che può compromettere l’intera esistenza di una persona».

Settori particolarmente esposti

Dallo studio commissionato da Ufu e Seco emerge anche che ci sono dei settori con un numero sovraproporzionale di episodi di comportamenti potenzialmente molesti. Si tratta del settore delle costruzioni, del settore alberghiero e della ristorazione e i settori bancario, assicurativo e immobiliare. Per le donne si annovera anche il settore dei trasporti e dell’informazione e per gli uomini quello sanitario e sociale. In termini di prevalenza di comportamenti di natura sessista e sessuale individuali, i settori manuali con una forte presenza maschile si rivelano ambienti di lavoro con un’elevata prevalenza di commenti, battute, gesti e sguardi dispregiativi e osceni, nonché materiale pornografico. Nei lavori impiegatizi sono invece piuttosto diffusi proposte indesiderate, ricatti e aggressioni sessuali. Nei settori sanitario, sociale e della formazione, il personale è spesso vittima di avances fisiche indesiderate. Mentre nel settore alberghiero e della ristorazione, tutti i tipi di comportamento si verificano a un tasso superiore alla media. «Da quanto vedo io, oltre alla ristorazione – integra Debernardi – un settore in cui vi è una particolare esposizione a questo tipo di abusi è quello dell’economia domestica in cui la situazione arriva più spesso a essere drammatica perché in questi casi c’è un rapporto di subordinazione con il proprio datore di lavoro particolarmente diretto e tutto si svolge nella sfera domestica che è molto più isolata che in altri contesti».

Ginevra un passo avanti

Come visto la Legge sulla parità dei sessi, che lo scorso marzo ha compiuto 30 anni, è perlopiù sconosciuta, spesso anche dagli stessi addetti ai lavori: ovvero avvocate, avvocati e giudici che non la applicano quando potrebbero farlo. Dagli studi in merito emerge, soprattutto dal numero più elevato di procedure di conciliazione, che c’è un Cantone più virtuoso degli altri, quello di Ginevra. Come mai? «È una questione di volontà politica – risponde Debernardi che proprio a Ginevra lavora in uno studio legale –. Qui l’Ufficio della parità è molto attivo su tali questioni. Ha tra le altre cose promosso delle campagne mediatiche ad esempio sui mezzi di trasporto che indicano cosa è una molestia e che cose si può fare. E poi esiste il Tribunale des prud’hommes che è un tribunale del lavoro, quindi specializzato in questo ambito, in cui i giudici sono tenuti a fare una formazione sulla LPar. Detto ciò, c’è però ancora molto da fare. Dal mio punto di vista in questo senso giocano un ruolo fondamentale anche avvocate e avvocati nel sollevare queste questioni e portarle in tribunale quando la vittima è d’accordo di farlo. Per poter far avanzare la giurisprudenza devono esserci dei casi e quindi applicare questa legge è importante anche per tutti gli attori del sistema giudiziario, con l’obiettivo ultimo di diffondere una cultura del rispetto e debellare questo tipo di violenza estremamente dannosa e dolorosa».

14 giugno

Formazione e corteo

Sabato 14 giugno Valerie Debernardi proporrà una formazione aperta al pubblico e gratuita dal titolo “Stop alle molestie. Insieme per un ambiente di lavoro sicuro” organizzata dal Gruppo Donne Uss presso Inclusione Andicap, in Via Linoleum 7 a Giubiasco, dalle 10 alle 12. L’evento – per cui è gradita l’inscrizione a uss-ti@bluewin.ch – si inserisce nella giornata di mobilitazione femminista che prevede alcuni appuntamenti promossi da varie realtà (vedi edizione di sabato 7 giugno), tra cui la manifestazione a Bellinzona che partirà da Piazza del Sole alle 16 e andrà verso Piazza Governo, dove ci saranno interventi e musica.

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