laR+
logoBol

Piccoli geni che soffrono di noia, soprattutto in classe

Ragionano in modo diverso. Più veloce, intuitivo. Ma la scuola impone un apprendimento sequenziale e iniziano i guai. Galli: ‘Docenti poco sensibilizzati‘

Ragionano in modo diverso. Più veloce, intuitivo. Ma la scuola impone un apprendimento sequenziale e iniziano i guai. Galli: ‘Docenti poco sensibilizzati‘

3 luglio 2025
|

Matteo, che ha imparato a leggere e scrivere da solo quando aveva 4 anni, ha due passioni, le galassie e i dinosauri. Vorrebbe sapere tutto sui confini dell’universo. È brillante e curioso. In classe, alle elementari, però si annoia perché capisce tutto al volo, la matematica gli riesce così semplice. Sembra distratto, annoiato in verità viaggia nei suoi mondi tra stelle nane e tirannosauri. Fa parte di quel 3-5% della popolazione (circa 240-400mila persone in Svizzera) con un QI superiore a 130: quasi uno per classe. Sono bimbi ad alto potenziale cognitivo: ragionano in modo diverso dai compagni. Più precoci, veloci e intuitivi, saltano da un concetto all’altro, riflettono per associazione, con un insaziabile bisogno di sapere in specifici ambiti. Il loro più grande incubo è la noia e la scuola, già alle elementari, per loro può diventare un vero calvario. Già perché la Scuola pubblica ha un approccio integrativo, cerca di aiutare in classe chi è ad alto potenziale o fargli, semmai, saltare un anno o fare qualche ricerca particolare. A volte funziona. Altre volte invece i ‘piccoli geni’ non vengono né riconosciuti (‘perché i docenti non sono ancora abbastanza formati’) né aiutati in modo adeguato. La loro genialità, invece di essere stimolata, viene castrata. Così alcuni interrompono frustrati gli studi. Un gran peccato. A spiegarcelo è lo psicologo e psicopedagogista Giovanni Galli, ex operatore del servizio di sostegno pedagogico, si occupa da oltre 20 anni di alto potenziale cognitivo (APC), oltre a diagnosi, consulenza, supervisione e accompagnamento di giovani APC, tiene formazioni e seminari in Svizzera e all’estero per docenti e genitori. Recentemente ha contribuito a una formazione per psichiatri, medici, psicoterapeuti per una rete torinese. Segue due nuovi casi a settimana, anche dall’Italia: «Penso di aver incontrato più di mille ragazzi con alto potenziale. È raro che la scuola segnali un caso, perché il corpo docente non è ancora sufficientemente sensibilizzato, di regola a farlo sono le famiglie, i pediatri o gli psicologi. Prioritario è fare un test psicometrico e capire la situazione in maniera “clinica”. Molte famiglie mi chiamano anche per un secondo parere». Essere ad alto potenziale, continua, è più complesso e diverso dall’essere più intelligente della media. Vedono ciò che gli altri non possono o non riescono a vedere. Dotati di una memoria eccezionale, faticano però a ritenere ciò che, per loro, non ha senso. Faticano col ragionamento strutturato e sequenziale, che è quello su cui si basa il sistema scolastico. Ne parla nel suo ultimo libro ‘Cosa ci insegna l’Alto potenziale cognitivo’ che racchiude la sua esperienza con ragazzi, docenti e i genitori.

Come si accorge un genitore di avere un figlio ad alto potenziale?

Un primo segnale è la precocità: molti sanno leggere e scrivere a 4 anni, hanno una padronanza e una ricchezza linguistica inusuale per l’età, accompagnata da abilità argomentativa, un modo fluido di ragionare, sanno cogliere connessioni, risolvere problemi e hanno una memoria incredibile. Ragionano in modo diverso, la loro organizzazione neuropsicologica è diversa. Inoltre da bambini fanno domande complesse e a raffica su tematiche come dinosauri, zoologia, astrofisica, l’origine della vita, le guerre mondiali. Ricordo una bambina, voleva sapere come fanno gli angeli a camminare sulle nuvole senza cadere. Hanno bisogno di coerenza.

Quindi coi coetanei cosa fanno? Come possono relazionarsi?

A scuola, spesso coi coetanei si annoiano, la loro immaginazione è più complessa e articolata. Mentre gli altri giocano a pallone, loro si interessano ad esempio all’astrofisica. Anche se in classe sono apprezzati, tendono a vivere sentimenti di solitudine. Per un adolescente plusdotato è difficile trovare cose stimolanti da condividere coi coetanei. I genitori possono aiutarli a far crescere amicizie fuori dall’ambito scolastico.

Lei ha aiutato più di mille bambini ad alto potenziale cognitivo che cosa ha imparato su di loro, sul loro funzionamento, sulle loro emozioni, su come apprendono?

Sono delle spugne, apprendono molto per osmosi, captano, osservano, ricordano e acquisiscono. Dunque gli stimoli dell’ambiente in cui crescono è fondamentale. Faccio un esempio, questi giovani risolvono un’equazione immediatamente, ma non sanno spiegare il metodo di calcolo. Rischiano una nota bassa e la conclusione del maestro che non hanno capito nulla. In realtà non hanno assimilato il metodo sequenziale di soluzione del problema usato dal sistema scolastico.

DpositphotosSanno il risultato ma spesso non sanno spiegare come ci sono arrivati

Non so come ho fatto, ma lo so e basta!’ è una tipica frase di allievi plus-dotati. Sono intuitivi, sanno risolvere equazioni complesse ma faticano a ragionare in modo strutturato.

Esatto, sanno ma non sanno spiegare come arrivare al risultato. È un problema di organizzazione e controllo del flusso di informazioni che ricevono. Acquisiscono un sacco di info e come un bibliotecario devono imparare a fare ordine.

Come li aiuta concretamente?

Torniamo all’esempio della matematica, alcuni sanno risolvere calcoli complessi in pochi passaggi, saltano i passaggi, non assimilano il metodo sequenziale di soluzione del problema usato dal sistema scolastico. Ma ci sono diverse strade per raggiungere lo stesso risultato. Li aiuto a organizzare il pensiero, disarticolando abitudini, affrontando compiti più complessi per non annoiarli.

Appunto, la noia a scuola, a casa: cosa consiglia a docenti e genitori?

Consiglio educazione, perseveranza e impegno. Questi bimbi hanno bisogno di stimoli, stimoli e ancora stimoli. Aiuta portarli al cinema, a teatro, a vedere la cappella sistina, il planetario. Consiglio di farli lavorare su contenuti complessi e accattivanti, creare occasioni per accumulare esperienze, fare attività a lungo termine. In classe vanno motivati con attività differenziate. Nutrire la loro curiosità intellettuale con programmi cuciti su misura, facendo attenzione a non cadere nella routine. Questi giovani hanno tanti canali aperti. Se sono interessati ai dinosauri, non basta un libro o un sito, ce ne vogliono 50. Hanno bisogno di sfaccettare per costruire significati. Altrimenti è come avere una libreria capiente ma vuota. L’altra parola d’ordine è accelerazione. Occorre rispettare il loro ritmo, evitando ripetizioni, puntando a programmi più condensati o complessi fino a salti di classe.

Si stima che un terzo circa finisce fuori dal seminato scolastico. Una gran perdita. La scuola pubblica non funziona per molti di loro: si può fare di più?

Tanti docenti sono impreparati, la scuola in generale è impreparata, non sa valorizzare questi ragazzi. Qua e là ci sono iniziative interessanti, spesso per decisione di un direttore, un docente… Il punto è che questi bimbi ad alto potenziale si annoiano in classe. Ci sono docenti favolosi e colleghi con enormi resistenze. Servono competenze specifiche, altrimenti è impossibile costruire un percorso con questi ragazzi e valorizzarli. Le pluriclassi, dove più età sono mischiate, dove c’è più rotazione e vivacità, sono una soluzione più vicina al funzionamento di un alto potenziale cognitivo.

Emotivamente come sono?

Si sente dire spesso che sono immaturi sul piano emotivo. In verità si confonde l’immaturità con l’instabilità. Io direi che sono instabili, perché vivono molte esperienze con grande intensità. Uno dei filoni di ricerca riguarda il concetto di ‘ipersensibilità’. La supposta immaturità viene riportata quando non sanno perdere una partita, oppure quando hanno reazioni molto vivaci rispetto a una frustrazione. Eppure il senso di giustizia è generalmente ben sviluppato. E direi che ciò avviene regolarmente. Ciò evidentemente infastidisce l’entourage che cerca di diminuire l’entropia. La cosiddetta ‘gestione delle emozioni’ a scuola (o casalinga), considera le manifestazioni esternalizzanti del disagio, certamente non quelle internalizzanti. Prevale pertanto una necessità sedante.

Inoltre, rispetto alla noia vissuta, molte risposte sono del tenore “deve imparare ad annoiarsi” (come se la scuola fosse un luogo tedioso!). In verità lo hanno già imparato molto bene, visto che passano da metà a due terzi del loro tempo ad aspettare.