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‘Il maggioritario per eleggere il Consiglio di Stato? Non da escludere, ma da solo sarebbe insufficiente’

Secondo il politologo Oscar Mazzoleni per far fronte alle sfide istituzionali e politiche a cui è oggi confrontato il Ticino serve una riforma complessiva

‘Sapendo della difficoltà di trovare maggioranze in parlamento, l’esecutivo è per così dire spesso costretto all’ordinaria amministrazione’
(Ti-Press)
24 luglio 2025
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Un governo oltremisura consociativo che si limita all’ordinaria amministrazione dell’esistente: è questa la critica mossa sempre più spesso al Consiglio di Stato ticinese, tanto che in queste settimane di mezza estate è tornata a farsi largo nel dibattito pubblico la questione se non sia giunta l’ora anche per il nostro cantone di passare dal sistema proporzionale a quello maggioritario per l’elezione dell’esecutivo come avviene in tutto il resto della Svizzera. Sarebbe un modo concreto per uscire dall’immobilismo?

A rilanciare il tema che da decenni riemerge periodicamente è stata la decisione del governo ticinese di avallare all’unanimità lo scambio temporaneo di alcune competenze – Polizia cantonale e Magistratura contro Divisione delle costruzioni e il progetto di semplificazione delle procedure nei rapporti con le cittadine e i cittadini, le aziende e i comuni – tra i due consiglieri di Stato leghisti. Un via libera biasimato da tutte le forze politiche rappresentate nell’arco parlamentare fuorché dal movimento di via Monte Boglia.

Da poca a troppa collegialità

Nel rapporto del lontano 2004 intitolato ‘Il Ticino dalla proporzionale al maggioritario’ – redatto dal gruppo di lavoro istituito dal Consiglio di Stato con il compito di formulare delle proposte per l’eventuale introduzione del sistema di voto maggioritario – si riprendevano le parole dello storico Andrea Ghiringhelli, il quale sottolineava come già dalla fine degli anni Ottanta si parlava di “crisi di governabilità, ossia di un governo in cui il principio della collegialità non regge più e che fatica a decidere con efficacia e tempestività». Diciassette anni dopo, nel 2020, nel rapporto intitolato ‘Verso una riforma del sistema elettorale per le elezioni del Consiglio di Stato e Gran Consiglio’ – commissionato all’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna – i politologi Andrea Pilotti e Oscar Mazzoleni rilevano che, in anni recenti, “nel governo la maggiore frammentazione e l’aumento della personalizzazione non hanno indebolito le regole della collegialità”. Infatti, “molto rari sono stati i casi in cui la minoranza del Consiglio di Stato si è avvalsa del diritto di esprimere pubblicamente opinioni diverse su una decisione presa dal collegio”. Una constatazione che sembra valere anche per la legislatura in corso, visto che la critica principale al Consiglio di Stato è proprio l’eccessiva concordanza, il dipartimentalismo e l’immobilismo, a causa dei grandi cantieri che oggi arrancano.

La crisi dei partiti iniziata negli anni Ottanta

Chiediamo a Oscar Mazzoleni, professore all’Università di Losanna, se queste disfunzioni siano ascrivibili al sistema proporzionale o siano piuttosto legate a questioni di personalità politiche o di strategie partitiche. Per rispondere a questa domanda, Mazzoleni allarga il discorso. «Rispetto al caso ticinese ci troviamo ancora in una fase iniziata negli anni Ottanta contraddistinta da una un’erosione della forza dei partiti storici – contestualizza il nostro interlocutore –. Non a caso è in quel decennio che si comincia a tematizzare il passaggio al sistema maggioritario. Tuttavia, dagli anni Ottanta, riforme elettorali di rilievo non ce ne sono state in Ticino, con l’eccezione della reintroduzione della scheda senza intestazione, che costituisce un elemento che limita in parte la rilevanza del proporzionale costruito attorno ai partiti politici».

Frammentazione, tra maggior rappresentatività e difficoltà decisionale

Negli ultimi decenni, la crisi dei partiti storici è proseguita e ha portato all’aumento della frammentazione, un fenomeno che riflette una maggiore rappresentatività delle sensibilità del Paese, ma anche una maggiore incapacità decisionale del Gran Consiglio ticinese. «Nel 2011 c’è stata inoltre una svolta importante – ricorda Mazzoleni –: per decenni, l’intesa Plr e Ppd, seppur puntuale, era stata sufficiente per l’approvazione in Gran Consiglio di progetti di rilievo, poiché i due partiti insieme riuscivano da soli a fare maggioranza. Nelle ultime tre legislature tale centralità dei due partiti storici borghesi è andata persa. In parlamento sono necessari infatti almeno tre partiti tendenzialmente compatti per approvare una legge: come risultante però di intese più incerte, che coinvolgono tutti i maggiori partiti a geometria variabile».

Esito delle votazioni più incerto, soprattutto su Preventivo e grandi riforme

Mazzoleni osserva che l’esigenza «di coalizioni più ampie e diversificate ha reso più difficile il lavoro parlamentare ma anche più incerto l’esito delle singole votazioni, soprattutto quando si tratta del Preventivo dello Stato o di grandi riforme. E la sfida non è solo fra partiti ma anche al loro interno. Poiché gli esiti elettorali futuri sono incerti, aumenta la competizione interna – favorita anche dai nuovi media e dalle esigenze di visibilità personale – e cresce il rischio dal punto di vista della disciplina interna dei gruppi parlamentari». Di questa incertezza si è avuta una recente dimostrazione nel voto sulla soglia di sbarramento «in cui fino alla fine non si capiva chi stava di qua e chi di là».

Le regole adottate dal Consiglio di Stato contro le nuove sfide: coesione e coabitazione

Il governo, secondo Mazzoleni, «nelle ultime legislature si è adattato a queste nuove sfide dotandosi, fra l’altro, di regole informali di funzionamento volte a favorire la coesione e la coabitazione dei suoi membri». Coesione, vale a dire «voce comune, se possibile unanime verso il Paese», e coabitazione, ossia «riconoscimento delle sensibilità e dell’autonomia dei singoli consiglieri di Stato in quanto direttori di dipartimento». Tuttavia, come abbiamo visto anche nel recente caso dell’arrocco, «non sempre queste regole sono capite all’esterno del consesso governativo. Certo, riducono la conflittualità dentro il governo – rileva il professore –, ma possono risultare insufficienti per raggiungere le necessarie maggioranze in un parlamento. E questo lo si vede già preliminarmente quando il governo si cimenta in consultazioni e si confronta con le commissioni parlamentari».

Priorità a misure puntuali piuttosto che a progetti ambiziosi

Insomma, il nodo centrale sta «nella relazione complicata fra governo e parlamento, frutto di diversi rapporti di forza e logiche alle volte contrastanti» commenta il politologo: «Sapendo della difficoltà di trovare maggioranze in parlamento, la conseguenza è che il Consiglio di Stato è per così dire spesso costretto all’ordinaria amministrazione, ossia a dare priorità a misure puntuali piuttosto che a progetti ambiziosi».

Cambio di formula? Implicazioni valutabili solo a progetto tecnicamente definito

Di fronte a queste sfide, l’introduzione di un sistema maggioritario, simile a quello degli altri cantoni, sarebbe una soluzione? Secondo il nostro interlocutore, anzitutto, occorrerebbe un progetto tecnicamente definito nei suoi dettagli. Solo così sarebbe possibile discutere delle possibili implicazioni sulla governabilità e sulla rappresentatività.

Differenze ed elementi di avvicinamento

Come sottolinea Mazzoleni, «il principale elemento distintivo tra i due sistemi, quello proporzionale e quello maggioritario, è la cosiddetta formula elettorale, ovvero quella procedura tecnica attraverso cui i voti vengono trasformati in seggi». In maniera generale, con una formula maggioritaria a vincere è il candidato, la candidata o la lista che ottiene la maggioranza dei voti espressi dalle elettrici e dagli elettori. Le formule proporzionali prevedono invece che i seggi siano attribuiti alle diverse liste o ai candidati in proporzione ai voti ottenuti. «Tuttavia, i sistemi proporzionali, poiché comprendenti altre componenti oltre la formula, possono presentare aspetti che li avvicinano ai maggioritari, e viceversa». Componenti quali la taglia dei circondari, l’esistenza o meno di una soglia esplicita di sbarramento, il tipo di lista di partito, il numero di partiti e di candidati/e in lizza, la possibilità di effettuare delle congiunzioni, l’esistenza del voto panachage e/o lo stralcio di uno o più candidati/e creano delle ibridazioni fra i due sistemi, e possono per esempio rendere più o meno “maggioritario” un sistema proporzionale senza cambiare la formula elettorale.

Nessun esito è scontato

C’è inoltre da tener conto, sottolinea Mazzoleni, come «non ci siano esiti scontati quando si cambia il sistema elettorale». Per esempio «non è detto che con un maggioritario a due turni tornerebbero a esserci due liberali in governo. Potrebbero essere eletti anche cinque rappresentanti di cinque diversi partiti». Poco praticabile sarebbe comunque un sistema che favorisce l’alternanza di governi. Come si legge nel rapporto di cui Mazzoleni è coautore, nel 1993 nel Canton Ginevra una coalizione di partiti borghesi aveva deciso, riuscendoci, di escludere i socialisti dal governo. L’operazione si è però rivelata fallimentare poiché è sfociata in una quasi completa paralisi politica anche a causa del sistema referendario e per effetto del proporzionale nel legislativo. Ginevra è tornata nel frattempo sui suoi passi e nessun altro cantone ha ripreso l’esperimento ginevrino.

Necessità di un ripensamento generale

In conclusione, secondo Mazzoleni, sebbene non sia da escludere, il solo cambiamento di una o più componenti del sistema elettorale non sarebbe sufficiente per far fronte alle sfide a cui è oggi confrontato il Ticino dal punto di vista istituzionale e politico. Servirebbe semmai, secondo il politologo, «una riforma complessiva che vada a modificare anche aspetti inerenti alla gestione governativa dei dipartimenti. Non da ultimo, che vada a incidere sulle regole del gioco e sui rapporti fra governo e parlamento. Senza un ripensamento più generale è difficile risolvere i nodi della progettualità politica».

La via dell’Assemblea costituente

Siamo però davanti al proverbiale cane che si morde la coda, «poiché una riforma a tutto campo richiede una coalizione ampia molto difficile da ottenere in parlamento oggi». Secondo Mazzoleni, «una soluzione potrebbe venire dall’istituzione di un’Assemblea costituente, ossia un ente distinto capace di coinvolgere la pluralità degli interessi e delle sensibilità del Paese, chiamato ad affrontare la questione del sistema elettorale, ma anche quella, più generale, dell’assetto delle istituzioni dello Stato di fronte alle future sfide del Paese».