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Caso don Leo, il dossier fantasma e i silenzi della Curia

Abuso segnalato nel 2021. Mons. de Raemy ricostruisce i fatti e spiega le scelte dall’allora vescovo, che ‘per riservatezza’ sul caso non lasciò traccia

Abuso segnalato nel 2021. Mons. de Raemy ricostruisce i fatti e spiega le scelte dall’allora vescovo, che ‘per riservatezza’ sul caso non lasciò traccia

28 agosto 2025
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Don Rolando Leo, condannato a metà agosto per reati sessuali su minori e giovani adulti e in attesa della procedura canonica, sarà trasferito in una struttura fuori cantone destinata a sacerdoti “in situazioni particolari”. «Qui seguirà un percorso psicologico e psichiatrico», spiega alla Regione mons. Alain de Raemy, amministratore apostolico della Diocesi di Lugano.

In questa vicenda dolorosa resta aperto un nodo che pesa soprattutto sulle vittime e reclama chiarezza: l’allora vescovo Valerio Lazzeri era stato informato già nel 2021, quando una vittima segnalò per la prima volta gli abusi subiti. Cosa fece, allora, il vescovo? Poteva immaginare che vi fossero vittime minorenni? E soprattutto: perché non fermò don Leo, lasciandolo anzi a contatto con giovani e persino come cappellano al Collegio Papio? Domande che finora non hanno ricevuto risposte convincenti. Per le vittime significa sofferenze in più che forse si potevano evitare. Una prova cruciale per la Curia: dimostrare se la volontà di trasparenza e la tutela delle vittime vengano davvero prima dell’immagine della Chiesa. Nei verbali d’inchiesta, dove Lazzeri è stato sentito come testimone, abbiamo cercato risposte. Anche in Curia.

‘Non voleva denunciare il presbitero’

Iniziamo dalla ricostruzione di mons. Alain de Raemy: «La vittima è venuta a parlarmi dei fatti accaduti e della sua segnalazione nel mese di febbraio del 2024. In quel momento mons. Lazzeri mi ha informato di tutto quanto era a sua conoscenza». Più precisamente: «La vittima aveva raccontato al vescovo Valerio nel 2021 un episodio, avvenuto quando era studente (maggiorenne), nel 2017. Mons Lazzeri aveva informato la vittima che questo era un fatto da presentare alla Commissione abusi per poter avviare una determinata procedura. Ma in quel momento la vittima non se la sentiva né di percorrere la strada interna della suddetta Commissione, né di denunciare direttamente don Leo alle autorità civili», racconta alla Regione.

L’accordo tra il vescovo e il terapeuta

La segnalazione del 2021 riguardava un episodio chiaro: un atto sessuale compiuto da don Leo su questo studente mentre dormiva, dunque senza alcuna possibilità di consenso. La vittima vedeva in lui una figura paterna e una guida spirituale, rendendo il tradimento ancora più doloroso. Che cosa fece dunque la Curia nel 2021: «Sulla base dei fatti a quel momento noti e tenuto conto del fatto che la vittima era maggiorenne già all’epoca dei fatti, il vescovo Valerio decise di convocare don Leo, che ammise quell’unico episodio. Il vescovo Valerio impose a questo punto a don Leo un percorso psicologico sistematico chiedendo allo psicologo di monitorare il percorso e di poter essere informato qualora vi fosse il minimo dubbio circa comportamenti con minori; poiché qualora fossero emersi elementi diversi, in tal caso avrebbe dovuto procedere con la denuncia sia interna sia al Ministero pubblico», precisa mons. de Raemy.

Il dubbio di altre vittime

Questi elementi emergono anche nel verbale di interrogatorio (che abbiamo visionato) del novembre 2024, quando il vescovo emerito venne sentito in Procura. Lazzeri ricostruisce i fatti del 2021: quando la vittima, superando la vergogna, trovò il coraggio di raccontargli l’abuso subito. Non se la sentì di sporgere denuncia, ma chiese al vescovo di aiutare don Leo ad affrontare “il suo problema”, temendo potessero esserci altre vittime; era preoccupato – si legge nel verbale - che potessero essere coinvolti altri ragazzi. Dubbi della vittima che restarono sospesi, senza indicare nomi. Il vescovo impose allora a don Leo di iniziare un percorso psicologico con un terapeuta di fiducia della Diocesi in Italia “per fare un cammino di crescita”. C’era un accordo: segnalargli se fossero emerse “circostanze potenzialmente da denunciare”. Però gli incontri, inizialmente settimanali, “col tempo si sono distanziati”. Successivamente, Lazzeri precisa di non aver più ricevuto nessun segnale di allarme dal terapeuta. “Lo stesso don Leo mi disse che stava procedendo nel suo percorso”. Tutto ciò bastò a tranquillizzare Lazzeri che non indagò oltre.

In Curia nessun incarto su don Leo

Poco dopo, nell’ottobre 2022, mons. Lazzeri lascia il servizio episcopale. In Procura, gli chiedono se avesse passato il testimone su don Leo a qualcuno: “No, non l’ho fatto”, risponde. Nessun dossier, nessuna traccia o comunicazione formale, come se nulla fosse accaduto. Non informò neppure il Collegio Papio, dove il sacerdote continuava a operare: una decisione che, col senno di poi, risulta quantomeno moralmente imbarazzante, alla luce delle ulteriori vittime emerse successivamente. La sua giustificazione, a verbale: la riservatezza verso la vittima, che non voleva denunciare don Leo.

Di fatto, don Leo ha potuto continuare le sue attività coi giovani e anche i suoi ‘massaggi’. Era una figura chiave: cappellano del Papio, insegnante, responsabile dell’Ufficio di istruzione religiosa scolastica della Diocesi, assistente spirituale della Pastorale giovanile. Per molti ragazzi era una guida, un padre spirituale, un punto di riferimento, un confidente intimo.

Ti-PressIl vescovo emerito Valerio Lazzeri

La verità, alla fine, viene a galla. Qualche anno dopo, nel 2024, la vittima scopre quasi per caso di non essere stata la sola e che il sacerdote aveva continuato indisturbato i suoi ‘massaggi’ su un altro ragazzo, che riponeva grande fiducia nel sacerdote. Lo shock lo spinge a bussare di nuovo alle porte della Curia. Stavolta c’è il nuovo amministratore apostolico, mons. de Raemy che indaga e lo convince a denunciare i fatti.

Ancora domande senza risposta

In questa vicenda restano domande senza risposta che mons. de Raemy non vuole commentare: perché la vittima non è stata accompagnata a presentare una segnalazione alle autorità già nel 2021? Perché non si fermò don Leo, lasciandolo invece a contatto con giovani e persino al Collegio Papio, dove era cappellano? E ancora: perché, quando il vescovo Lazzeri ha lasciato il suo servizio episcopale nel 2022, non ha informato qualcun altro della situazione? Secondo quanto ci risulta, anche in Curia esistono dossier personali sui sacerdoti. Su don Leo non c’era nulla.

Quando la fiducia diventa abuso

Col senno di poi è facile giudicare. In verità, non è semplice smascherare chi compie abusi sessuali, sfruttando un intimo legame spirituale: si tratta spesso di persone manipolatorie, con due volti. In pubblico appaiono preti carismatici e rispettati, mentre in privato si rivelano predatori, che approfittano della fiducia riposta in loro. A ciò si aggiunge la difficoltà delle vittime a denunciare, frenate dalla vergogna e dal timore di non essere credute. È in questo contesto complesso che matura una vicenda dolorosa, dalla quale la Curia non potrà che trarre insegnamenti. Ora tutto passerà al vaglio del Vaticano, che riceverà gli atti del processo a don Leo, la sentenza completa e le informazioni sulle scelte compiute dalla Curia. Sarà un’istanza esterna a stabilire se vi siano state negligenze o meno.

La procedura canonica

Fino alla perdita dello stato clericale

La riservatezza di un sacerdote di fronte a chi non vuole denunciare, il rischio che altri diventino vittime, il dolore di chi ha subito: temi che meritano una seria riflessione.

Mons. de Raemy, lei ha incontrato delle vittime: quale attenzione può dare a questi ragazzi e alle loro famiglie?

Come ho sempre ribadito, sono a completa disposizione delle vittime. Anche per questo caso non ho mancato e non manco di totale disponibilità. La discrezione, in questi casi, però, è massima e non intendo entrare maggiormente in merito alla questione.

Alle vittime di don Leo va un risarcimento attorno ai 15mila franchi: come mai li mette la Diocesi?

Se non ci sono i mezzi, possiamo anticipare quello che il presbitero condannato deve versare.

Don Leo ora dovrà affrontare una procedura canonica. Cosa lo aspetta da parte della giustizia della Chiesa?

Il percorso canonico è riservato, per questi casi, al Dicastero per la Dottrina della fede. Sulla base delle decisioni di questo Dicastero sarà previsto o un reinserimento adeguato in un ministero limitato o, qualora vi fosse la possibile perdita dallo stato clericale, un percorso di accompagnamento di don Leo nella società, tenendo conto dei limiti imposti dall’autorità civile penale.

Il giudice ha deciso che don Leo deve seguire un accompagnamento di carattere psicologico e non lavorare a contatto coi giovani. Chi verifica?

Ho deciso che don Leo a breve termine sarà destinato a una struttura fuori cantone, che accoglie sacerdoti che si trovano in situazioni particolari e offrono con competenza un percorso psicologico e psichiatrico. Questa struttura sarà costantemente in contatto con la Diocesi.

Può celebrare Messa e svolgere attività pastorale con adulti?

Ricordo che dall’agosto 2024 a don Leo è stata imposta la proibizione all’esercizio del ministero, in attesa delle decisioni del Dicastero romano.

Se un sacerdote viene a sapere di abusi in confessionale cosa può fare? Quando cade il vincolo di riservatezza?

Per legge canonica e come ribadito dagli ultimi documenti pontifici, il segreto confessionale è e rimane inviolabile da parte del sacerdote confessore. Egli ha però il dovere morale di convincere il penitente ad autodenunciarsi. Col carattere di eccezionalità, di fronte a situazioni molto delicate, il confessore può anche decidere di rinviare l’assoluzione del penitente a un momento più propizio di sincerità con se stesso e di onestà verso il sacramento.

Cosa pensa della decisione del Consiglio di Stato dell’obbligo di denuncia nella Legge cantonale sulla Chiesa cattolica e riformata in Ticino?

Su richiesta del Consiglio di Stato ho ribadito la mia piena adesione alla proposta. Anche perché a livello canonico l’obbligo che si vuole introdurre nella legge cantonale, cioè di segnalazione alla magistratura degli abusi commessi dal clero, è già vigente tuttora. La Conferenza dei vescovi svizzeri ha già fatto proprio questo principio. Non posso pertanto che essere favorevole al fatto che una legge canonica venga accolta dalla legge civile.