Giudici contro politici. E viceversa. Nemmeno Sanremo e le sue polemiche appassionano così gli italiani. Dopo gli anni di Berlusconi è il turno di Meloni
Non c’è Festival di Sanremo che tenga. Sebbene alle porte, con le immancabili polemiche su Fedez (dalle amanti vere o presunte all’opportunità di cantare “Bella stronza”) e il ritiro di un concorrente, Emis Killa, indagato per l’inchiesta sulle curve di Milan e Inter. Perché nemmeno il mix musica, amori vip e calcio può nulla dinanzi alla vera passione degli italiani: i tribunali.
Bentornati al grande festival della tenzone italiana. Politici contro giudici. E viceversa. Un classico dell’epoca berlusconiana, poi riciclato con protagonisti e risultati ben più mediocri, da Renzi a Salvini. Dopo il tragicomico rilascio da parte del governo italiano di uno dei più feroci criminali libici, Najeem Osama Almasri, è arrivata l’ora di Giorgia Meloni.
La premier è apparsa contrita in un video sventolando un foglio e dicendo di aver ricevuto un avviso di garanzia (che poi sarebbe un’iscrizione nel registro degli indagati, che è cosa diversa).
Nel mentre, presa da un attacco acuto di berlusconite, ha piegato i fatti del caso Almasri alla versione che più le faceva comodo, tirando in ballo le solite “toghe rosse”. Il tutto, in un momento in cui la maggioranza guidata da Meloni sta cambiando il sistema giudiziario in un modo rimasto indigesto alle toghe: rosse, gialle, blu o nere che siano.
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Silvio Berlusconi
Molti ora – divisi in cieche tifoserie – stanno cavillando su tutto senza conoscere i cavilli, dando ragione o torto a prescindere a Meloni. Qualche punto fermo, però, c’è. Almasri non era un semplice turista di passaggio, ma un torturatore su cui pende un mandato d’arresto internazionale. Infatti l’Italia l’ha arrestato. La spiegazione della sua liberazione non può essere quella buttata lì con nonchalance da Meloni (“Era un soggetto pericoloso e quindi l’abbiamo rispedito al suo Paese”), perché un criminale internazionale è pericoloso ovunque e chi lo arresta dovrebbe tenerlo in custodia finché non si capisce dove, come e da chi sarà processato. Si sa che certe mosse di Stato spregiudicate sono dettate da ragioni di Stato che, talvolta, non possono essere date in pasto all’opinione pubblica. E Meloni avrà avuto i suoi buoni motivi per mettere Almasri su un volo di Stato per Tripoli. Facendolo, però, si è assunta il rischio di essere attaccabile sul fronte politico e su quello giudiziario.
Frignare a favore di telecamera recitando un vecchio copione di Berlusconi è sbagliato. Come sbaglia la sinistra che esulta e si aggrappa alle sentenze per buttare giù chi si trova in alto a causa della propria inconsistenza politica. Sarà poi un caso, ma celerità e tempismo dei giudici – in un momento di forte attrito con l’esecutivo – destano sospetti (Barbara Berlusconi ha riesumato “la giustizia a orologeria”, ricordando l’avviso di garanzia a suo padre, nel 1994, mentre ospitava il G8 a Napoli). Nessuno, ad oggi, esce bene da questa storia.
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La legge è uguale per tutti
Una storia che pare destinata a ripetersi all’infinito. Non a caso, l’avvocato Li Gotti, colui da cui è partita la denuncia, impersona il ’900 italiano e i suoi andirivieni. Quasi ottantenne, ex difensore sia di pentiti di mafia che di vittime di mafia; in aula per il caso Moro, Piazza Fontana, l’attentato agli Uffizi; politicamente a destra (Msi) e poi a sinistra (Pd) con un passaggio in un governo Prodi “senza avergli mai parlato”, assicura. Una specie di sottosegretario a sua insaputa, di umarèll della Prima e Seconda Repubblica. Non è nemmeno il passato che ritorna. È il passato che non se ne vuole andare.