laR+ IL COMMENTO

Patti chiari, amicizia LongLake

La questione ‘400 franchi’ è risolta, e forse il malcontento nemmeno veniva dal difetto di comunicazione, ma da un vecchio luogo comune, sempre più comune

In sintesi:
  • C’è ancora chi dice ‘sì, ma di mestiere cosa fai?’, una specie di nervo che per un musicista può restare scoperto tutta una vita
  • Quanto c’entra, nel malcontento generale, la Classica che agli altri generi, della torta, lascia le briciole?
Lugano by night
(Ti-Press)
5 aprile 2025
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“Chi suona in un concerto non è solo un musicista. Dietro c’è un uomo, c’è la sua vita, privata e pubblica. Un musicista non viene qui, si diverte e basta. Un musicista si spacca le ossa (edulcorato, ndr) tutto il giorno in sala di registrazione o a studiare lo strumento, o a dare lezioni. Il suo è un mestiere massacrante e fortemente emozionale, ogni sera deve dare il massimo. I musicisti non sono quelli che, come dice quel tale, dovrebbero imparare un mestiere vero. È quel tale, semmai, che dovrebbe imparare un mestiere vero”.

Non ci voleva Roberto Vecchioni, giovedì scorso al Lac a ringraziare la sua band, per ricordarci di una di quelle frasi fatte che smontano un’intera categoria. Frasi come “undici cretini in mutande”, solo che i calciatori quella frase se la mettono in tasca insieme ai milioni e per i musicisti di professione invece “sì, ma di mestiere cosa fai?” è una specie di nervo che può restare scoperto tutta una vita. Nel rimarcare un concetto per il quale andrebbe istituito un giorno della memoria, il Professore ci ha confermato una delle chiavi di lettura di quanto accaduto giorni fa a Lugano a proposito del bando per suonare al LongLake, quei 400 franchi intesi come “tutto compreso” frutto di un difetto di comunicazione che a noi è parso onesto, non berlusconiano e nemmeno pandoristico, sul quale la Divisione eventi fa ammenda a pag. 15. Divisione che dava per scontato (nel senso di sottinteso, non nel senso di sconto sul cachet) che l’offerta fosse diretta agli esordienti.

C’è un altro argomento che ha scaldato gli animi sui 400 franchi della discordia e sta nelle parole di Zeno Gabaglio, musicista e presidente della sottocommissione cantonale Musica: “Per tutto quello che non è musica classica, genere che nella realtà della società è numericamente minoritario – diceva a laRegione lunedì scorso – restano le briciole”. E allora ci sono tornate in mente le parole del maestro Enrico Melozzi, venuto in soccorso dei Måneskin da lui diretti e che fanno musica propria, definita dal maestro Uto Ughi “semplici urlatori, un’offesa per l’arte”. La disputa tra maestri finì col Melozzi ad accusare il collega di avere “suonato per sessant’anni lo stesso spartito scritto più di trecento anni fa” e di rientrare pertanto nella categoria delle “cover-band”. La questione è morta e sepolta da anni, però riferisce di una certa spocchia del mondo accademico mai sopita e di un sentire diffuso che Gabaglio ha riassunto così: “In musica assistiamo a una varietà di generi ed espressioni tale da non giustificare più gli squilibri in atto”, dove gli squilibri sono quelli per i quali la Classica si prende il grosso dei finanziamenti e gli altri generi le suddette briciole. In tal senso, Lugano Città della Musica che sarà a tutti gli effetti Lugano Città della Musica Classica potrebbe non aiutare a smorzare i toni.

Perché a volte è davvero solo un difetto di comunicazione. Come la rassegna luganese ‘Musica nei quartieri’, alla quale manca una specifica (classica) che invece hanno Estival Jazz e Jazz in Bess, Blues to Bop o il Festival di culture e musica jazz di Chiasso. La generalizzazione a volte è fuorviante e il macroconcetto Musica fa molto basket statunitense, che se vinci il campionato professionistico sei campione del mondo e non dei soli Stati Uniti d’America. Le parole giuste al momento giusto sono importanti, anche per raffreddare gli animi di un’estate musicale che nemmeno è cominciata e già si annuncia calda.