laR+ IL COMMENTO

La Lega e il pericolo di finire come Dorian Gray

Il rischio che corre oggi il movimento di via Monte Boglia è di rimanere aggrappato alla malinconia di una realtà che non c'è più: urge inversione a U

In sintesi:
  • I primi 100 giorni di Piccaluga meritano la sufficienza, ma il lavoro da fare è tanto
  • Quando la Lega fa la Lega, i risultati si vedono ancora: come con le raccolte firme
  • Meno giacca e cravatta aiuterà
7 maggio 2025
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Alla fine la Lega e la base leghista dovrebbero essere una cosa estremamente semplice: alcuni concetti chiari, molto pragmatismo, poche democristianate e ancor meno politichese da foto in bianco e nero. La sufficienza che, a poco più di tre mesi dalla sua nomina, merita il coordinatore Daniele Piccaluga, deve essere considerata come una base di partenza non tanto per capire – qua e là sembra l’abbia già un po’ fatto – che parlare di Lega delle origini crea innegabilmente quello spirito allegro in memoria dei bei tempi andati, che tanto fa bene a ogni movimento, ma piuttosto che è ora di comprendere cosa si voglia fare da grandi.

Lo spirito leghista va necessariamente ricostruito, ma su basi diverse dalla nostalgia canaglia e dal celodurismo a corrente alternata. Perché se tanto si parla di anima sociale, poi quando si affrontano i sussidi di cassa malati bisogna essere conseguenti. Certo, ben si capisce: 430 milioni di franchi l’anno per la Ripam spaventano, ma quando poi sono gli anziani che vedono il premio schizzare verso l’alto e il sussidio fermo la retorica sui “noss vecc” lascia il tempo che trova. Idem dicasi, sempre rimanendo sul tema casse malati, per l’iniziativa popolare che proponendosi di dedurre integralmente dalle imposte il premio, con i massimali previsti, potrebbe portare anche molte altre deduzioni ai grandi patrimoni già favoriti dalla riforma fiscale approvata dal popolo l’anno scorso. L’esercizio svolto dal Centro, in fondo, non è stato titanico: prendere la calcolatrice, scoprire che, limitandosi al premio medio pagato in Ticino, l’ammanco per le casse cantonali sarebbe della metà e scrivere un controprogetto.

La Lega è la Lega. Condivisibili o meno, le sue battaglie hanno influenzato molto il dibattito politico negli ultimi decenni: preferenza indigena, molta meno immigrazione, lotta ai frontalieri, valichi secondari da chiudere, meno radar in giro per il cantone. Ma oltre i temi, oltre le polemiche domenicali e non, quello che dovrà fare la Lega per resistere alla scalata dell’Udc nella destra ticinese sarà distinguersi. Fino a non molto tempo fa, si osservavano gli esponenti di spicco democentristi spiegare con dovizia perché loro non erano come i leghisti. Adesso, sono i dirigenti della Lega in televisione e sui giornali a spiegare perché sono diversi dall’Udc. È un cambio di paradigma che è importante notare, anche se non risponde alla domanda principale che via Monte Boglia dovrebbe porsi: serve davvero l’Udc per continuare a essere la Lega?

Certo, l’erosione di eletti in Gran Consiglio è costante a ogni elezione. Certo, nonostante l’Udc cresca l’area di destra cala perché la Lega perde più di quanto guadagnino i democentristi. Ma quando la Lega fa la Lega è ancora una discreta macchina da guerra: basti pensare alle vagonate di firme raccolte da ‘Il Mattino della domenica’ per il canone a 200 franchi o l’iniziativa taglia dipendenti pubblici. Questo vuol dire che senza giacca e cravatta e in mezzo alla gente la Lega conta ancora, e mica poco. Il rischio è un altro, cioè fare come Dorian Gray: guardare il proprio ritratto invecchiare sempre di più, combinandone di ogni e godendosi un’eterna gioventù che è pura illusione, per poi finire con l’accoltellare gonfio di rabbia il ritratto che ormai è di un vecchio decrepito. Ma quel vecchio decrepito era il vero Dorian Gray, mica solo la sua immagine dipinta: e finisce malissimo. Per entrambi.

L’importante sarà non passare troppo tempo a fissare quel quadro seduti su una comoda poltrona. Magari di uno dei tanti Consigli d’amministrazione in cui si è entrati parlando di lotta alla partitocrazia.