laR+ IL COMMENTO

Dopo ottant’anni, senza certezze

Ribaltamento storico. O mutamento antropologico. Comunque scombussolamento generale. E un futuro incerto

In sintesi:
  • ‘È più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo’ (Mark Fischer)
  • In Europa, debole resistenza socialdemocratica
  • Onu finita, leggi internazionali lasche, tribunali per i diritti umani dileggiati
Uno sguardo al presente
(Keystone)
8 maggio 2025
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Raccomandava Rahm Emanuel, guru di Barack Obama: “Non lasciate che nessuna crisi seria vada sprecata”. Ma è arduo nell’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, quando la somma delle crisi in atto risulta epocale. Un numero eccessivo. Su percorsi dagli sbocchi ancora incerti. Risultato di cambiamenti paradigmatici. Tranne uno, così definito in ‘Capitalist realism’ da Mark Fisher: “È più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Dargli torto. Siamo infatti al tecno-capitalismo della squadra raccolta attorno a sua maestà Trump II. Tentativo di dominio imperiale, con le sopraffazioni, la protervia, la crudezza che pesantemente sviliscono la democrazia americana. E, di conseguenza, non solo quella. Apice di una svolta a destra che con Reagan, Thatcher e Trump I aveva già attraversato gli oceani. Grazie anche al dem Clinton, che con una riforma bancaria aveva consegnato alla finanza più rapace la conduzione anche politica di democrazie sempre più fiaccate, incapaci o impossibilitate a governare la mondializzazione che avrebbe favorito Cina e soci asiatici, e lasciato sul posto la classe medio-bassa dei Paesi occidentali, sempre meno tutelata dalla produzione industriale finita in lontane e vantaggiose “fabbriche del mondo”. Risultato: desertificazione industriale in cui avrebbe pescato voti il tycoon. Tornato alla Casa Bianca ancora più spavaldo, dopo la parentesi Biden. Convinto, il redivivo, di poter realizzare la sua rivoluzione Maga: un mix di conservatorismo, libertarismo, ribellione anti-centralista, contestazione del “Deep state” e assoluzione di tutti i partecipanti all’attacco al Campidoglio.

In Europa, debole resistenza socialdemocratica. Mentre già nel 2011 Warren Buffett, il meno peggio dei miliardari Usa, ammoniva: “Di fatto negli ultimi vent’anni è stata combattuta una guerra di classe, e la mia classe l’ha vinta”. In sostanza, interiorizzando il capitalismo finanziario globale come unico futuro pensabile per il pianeta. Ed ecco infatti “Elon Musk and Company”. Compatti (o quasi) dietro il secondo Trump. Guerra commerciale attraverso il conflitto dei dazi, nel tentativo di tenere a galla il dollaro come moneta di riferimento mondiale mentre l’America è super-indebitata (“Ora i conti pubblici Usa fanno davvero paura”, titola Il Sole 24 Ore). In una rara confusione di dichiarazioni e propositi (tranne sull’“appropriazione” imperiale di Groenlandia, Canada, Panama); un’inedita modestia professionale dei suoi inviati all’estero (con prevalenza di colleghi palazzinari); inchini alla “genialità” di Putin (come lo definì dopo l’attacco all’Ucraina), ma poi “l’impressione che ci stia prendendo in giro”, quindi l’accordo con il detestato Zelensky sullo sfruttamento comune delle “terre rare”, con cui gli ucraini pensano di essersi garantiti la sicurezza. Addirittura peggio in Medio Oriente, mano libera ai crimini di Netanyahu. E ancora: insulti agli europei “incapaci e ladroni”, declassamento della Nato, tifo per neonazisti ed estrema destra radicale.

Ribaltamento storico. O mutamento antropologico. Comunque scombussolamento generale, e futuro incerto. Di cui si compiace la Cina: coi suoi problemi, ma astuta, trasformatasi in produttrice di beni tecnologici, che insegue il primato sull’intelligenza artificiale. Insomma, 80 anni dopo i nobili propositi di fine guerra, ecco il mondo che ci spetta. Onu finita, leggi internazionali lasche, tribunali per i diritti umani dileggiati. Sempre inascoltato papa Francesco, infine coralmente e cinicamente “beatificato” dalla politica.