laR+ IL COMMENTO

Un’altra pedata di Trump contro l’Europa

La riduzione delle tasse decisa dalla Camera Usa va compensata con parecchie entrate extra e dunque che siano gli europei a sborsare

In sintesi:
  • Perché, a contrastare l’iroso monarca di turno, non si sa mai
  • Da questa parte dell’Atlantico, reazioni disordinate
Good morning, Mr. President
(Keystone)
26 maggio 2025
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Ma dov’è Giorgia (intesa come Meloni)? Dov’è Viktor (l’Orbán di Budapest)? Dove sono gli ammiratori ideologici (sempre più numerosi e vocianti al di qua dell’Atlantico, Svizzera compresa)? Insomma, dove sono finiti tutti i volonterosi “pontieri” che avrebbero dovuto mettersi all’opera per accorciare le distanze fra le due sponde dell’oceano, Usa-Europa. Giocano a “babbo morto”. Cioè fanno finta di non esserci. Perché, a contrastare l’iroso monarca di turno, non si sa mai. Così, come un fulmine a ciel tutt’altro che sereno, ecco che Mr. President, the Donald, si esibisce in un’altra pedata delle sue contro l’Europa. Solita promessa del tycoon, musetto imbronciato, postura d’occasione: “L’Ue è nata per fregare l’America” (agli storici si accappona regolarmente la pelle). E solita minaccia: “Dal primo giugno, un bel 50% di dazi su tutte le merci esportate dall’Ue verso gli Stati Uniti”. E che i doganieri yankee (risparmiati dalle forbici del “forse dimissionario” Elon Musk) si preparino a un po’ di lavoro supplementare.

Da questa parte dell’Atlantico, reazioni disordinate: non tutte le ‘nostre’ borse ricadono nel caos (almeno fino a venerdì sera, stamane chissà); non tutti i commenti sono nel segno della pacatezza (“è il solito commerciante che gioca al rialzo finché può”); non tutti i politici europei seguono la linea di Bruxelles (“siamo pronti a tutto, ma intanto continuiamo a negoziare”, dal noto vocabolario democristiano). Intanto gli “aruspici” della finanza, che esaminano le viscere riemerse del “boss” americano, cercano di aiutarci a capire le ragioni della nuova mossa. Primo: non sarebbe Trump se non facesse un po’ di casino. Secondo: stavolta fa sul serio, perché la riduzione delle tasse decisa con un solo voto di maggioranza dalla Camera Usa dei rappresentanti (riduzione più in favore dei ricchi che della classe media, anche stavolta) va compensata con parecchie entrate extra e dunque che siano gli europei a sborsare. Terzo: l’Unione europea non ha ancora capito che al presidente sta a cuore, ma proprio tanto a cuore, che i giganti tech, suoi amici padroni americani della rete e dei social, vengano fiscalmente aiutati. Quarto: questa pletora di Stati del Vecchio continente che pretende di trattare con una voce sola (Commissione di Bruxelles) è inverosimile e faticosa, sarebbe molto più vantaggioso poter affrontare singolarmente i 27 membri del club (più forza negoziale). Infine, per dirla tutta: l’Ue non è forse la principale “nemica” degli Stati Uniti e della Russia, a cui oltretutto rompe “un pochino” sul futuro dell’Ucraina?

Manca qualcosa? Certamente. Ma meglio fermarsi qui. Tanto ci penserà “lui” ad allungare l’elenco. “Lui”, che dopo il ritorno alla Casa Bianca già vanta grosse entrate economiche private (Bitcoin, brusche frenate borsistiche con debito preavviso agli amici finanziatori, affarucci vari dalle parti degli Emirati Arabi), ma anche qualche grattacapo presidenziale: l’America super-indebitata deve raccogliere ogni anno duemila miliardi di prestiti in più, la voragine di bilancio Usa non è solo opera sua ma nel primo mandato ci mise molto del suo, e ancora sta scavando; il dollaro scivola, i rendimenti dei titoli di Stato continuano a salire, gli investitori stranieri acquistano meno.