Quattro argenti in 12 anni, due consecutivi e la prospettiva di riprovarci fra un anno, nei Mondiali ‘casalinghi’. Ma per ora la Svizzera mastica amaro
Anche i giocatori di hockey piangono. Vedere uno come Niederreiter con gli occhi lucidi, o un Genoni che se li asciuga cercando tra un singhiozzo e l’altro di mettere in parole le sue emozioni mentre gli americani completano il giro d’onore, fa venire il groppo in gola. Non puoi non provare un magone nel guardare l’espressione affranta di Ambühl, il signore dei venti Mondiali, che domenica a Stoccolma ha messo il punto finale alla sua carriera internazionale. Straordinaria e costellata di record. Ma non del titolo mondiale. Che avrebbe voluto, pure meritato, ma che ancora una volta si è negato all’ormai quarantunenne di Davos. Maledetta Stoccolma. No, non basta averci dormito su una notte per dissipare il retrogusto amarissimo dell’epilogo del Mondiale 2025. Un passo in più lo si è fatto, salendo sul secondo gradino del ranking mondiale, dietro ai soli Stati Uniti, e davanti alle superpotenze quali Canada, Svezia e Cechia, ma ciò lenisce solo di poco la delusione, che brucia ancora parecchio. Domenica poteva e doveva essere l’occasione per chiudere quel cerchio aperto nel 2013 proprio lì, nell’allora Globen poi ribattezzato Avicii Arena. Quando la Svizzera era tornata a giocarsi il titolo nella partita decisiva, oltre ottant’anni dopo l’ultima volta. Allora si parlava di una finale storica. Dodici anni dopo quella magica notte, sempre a Stoccolma, la Nazionale rossocrociata è tornata a giocarsi il titolo. Per la quarta volta dal 2013, la seconda consecutiva. La prima, però, da favorita. In virtù della classifica dopo la prima fase (col Canada fuori dai giochi), ma anche per qualità e quantità di gioco espresse nelle nove partite che avevano portato alla finale di Stoccolma.
Un anno fa, a Praga, a mandare in frantumi i sogni dorati degli elvetici era stata la Cechia, battuta ai rigori nella fase preliminare ma diventata una montagna troppo alta da scalare, soprattutto davanti al pubblico amico, in finale. Stavolta, invece, se alla resa dei conti i tifosi di hockey a tinte rossocrociate han dovuto ricacciare in gola quel ‘campioni del mondo’ che sognavano di urlare a pieni polmoni domenica, la colpa è degli americani, e della loro crescita esponenziale dopo essere stati battuti pure loro dagli uomini di Fischer nella prima parte del torneo. Appresa la lezione, gli Stati Uniti hanno saputo elevare il loro gioco, lasciando sul posto avversari d’alto rango, come la Cechia, battuta nell’ultimo impegno della prima fase, la Finlandia, nei quarti, e la Svezia, in semifinale. Pure la Svizzera ha continuato a vincere (e stravincere), affrontando però avversari di caratura minore. Austria e Danimarca, le due tappe intermedie sulla via dell’atto conclusivo, hanno suggerito la malsana idea che tutto fosse più facile, e che davvero stavolta fossimo noi i predestinati al trono mondiale. Percorrere una via priva di grossi ostacoli non è però garanzia di arrivare fino in fondo. Così, su quella strada tutta in discesa, la Svizzera è inciampata. Riconfermandosi ancora una volta nel ristrettissimo novero delle grandi del torneo, ma ancora una volta non così brava da diventare la più grande fra le grandi. Ci riproveremo nel 2026, certo, forti anche del vantaggio casalingo, ma pure con la consapevolezza che mai come quest’anno si sia davvero persa una grossa occasione.