laR+ IL COMMENTO

I due papi e l'anno giudiziario che verrà

La surreale cerimonia. Con Zali che dal pulpito parla ai magistrati come se fosse già il ministro della Giustizia. Le nostre domande senza risposta

In sintesi:
  • Aspettiamo ora la decisione del Consiglio di Stato – e soprattutto la sua conferenza stampa – sullo scambio dei dipartimenti in casa leghista.
  • Gobbi e l'addio alla ‘truppa’. Evidentemente la vicenda di capitan Schettino non ha insegnato nulla. 
Zali e Gobbi
(Ti-Press)
3 giugno 2025
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La cerimonia di apertura dell’anno giudiziario 2025-2026 andata in scena ieri mattina al Palacongressi di Lugano è stata per certi aspetti surreale. In sala i due papi (tra Norman Gobbi e Claudio Zali non siamo ancora in grado di indicare l’emerito) e il pubblico, invero ristretto, di magistrati, i quali solo il giorno prima e solo dal Foglio ufficiale di via Monte Boglia avevano appreso dello scambio, che dovrebbe concretizzarsi a inizio ottobre, dei dipartimenti fra i due ministri leghisti: l’ormai ex “4x4 della politica per la sicurezza”, come si è definito per anni il leventinese, alla guida del Territorio; l’ex giudice d’Appello alle redini delle Istituzioni, da cui dipende amministrativamente il potere giudiziario. Il rimpasto non ha ancora ottenuto l’avallo del Consiglio di Stato, eppure Zali ha parlato dal pulpito, rivolgendosi alla platea di togati come se fosse già il loro diretto referente istituzionale in governo. Cosa inopportuna o quantomeno poco elegante, si sarebbe detto in un’altra epoca.

Ma forse Zali sapeva e sa che il nullaosta dell’Esecutivo sarà una mera formalità. È la linea, la conferma della linea adottata dal Consiglio di Stato nei rapporti fra i cinque componenti il collegio e cioè quella del quieto vivere? Oppure ci sono intese/inciuci tra la Lega e qualche altro partito di governo? Il più che probabile via libera all’arrocco potrebbe essere formalizzato già domani, giorno di seduta del Consiglio di Stato. In ogni caso i cittadini confidano in un’informazione, tramite conferenza stampa del governo, in tempi brevi e soprattutto trasparente. Del resto riecheggia quanto dichiarato ai media da Gobbi allorché (il 16 aprile) è tornato a presiedere l’Esecutivo: una comunicazione governativa più puntuale e appunto trasparente. Vedremo. Ciò che quasi certamente non conosceremo, se non ufficiosamente, sono i sentimenti con cui i collaboratori del Dipartimento istituzioni – la “truppa”, la “fanteria”, per citare il Gobbi prerimpasto – hanno accolto la notizia del passaggio del capo a un altro Dipartimento. Evidentemente la vicenda di capitan Schettino non ha insegnato nulla.

Torniamo all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025-2026. L’altro protagonista della particolarissima cerimonia è stato il presidente del Tribunale d’appello Giovan Maria Tattarletti, diventato suo malgrado una comparsa a causa del clamore politico suscitato dall’annunciato arrocco (“Vi leggerò quanto avevo preparato precedentemente”, ha premesso). Ci domandiamo a quale dei due papi presenti in sala fosse principalmente indirizzata la sua importante relazione, incentrata soprattutto su potenziamenti e riforme urgenti per il potere giudiziario. Surreale. Nel suo breve saluto da ministro della giustizia in pectore, Zali si è limitato a manifestare la volontà di spoliticizzare le nomine dei magistrati, sottoponendo un messaggio (governativo) in tal senso al parlamento. L’elezione popolare delle toghe, cara alla Lega? La ‘Regione’ avrebbe però voluto sapere come Zali intenda gestire altri grossi dossier del Dipartimento istituzioni: per esempio il sovraffollamento delle carceri, la violenza domestica, la riorganizzazione delle autorità di protezione, i rapporti con i Comuni. Niente da fare: il collega è stato invitato dall’interessato “a farsi un giro, nulla di personale”. Già, riaffiorano le ruggini fra Zali e questa testata (e non solo la nostra) in relazione alla copertura giornalistica del recente processo sfociato nella condanna di un’ex amante per tentata estorsione, coazione, diffamazione e ingiuria ai danni del ministro. Il giro ce lo siamo fatti, ma i quesiti rimangono. E sono, oltre che della ‘Regione’, dei cittadini.