laR+ IL COMMENTO

Lugano: un freno alla politica nei Cda s’impone

La recente bagarre sulle nomine in Ail Sa e i troppi anni di attesa del regolamento sulla governance stanno esasperando una situazione già discutibile

In sintesi:
  • La Città è un unicum in Ticino: diverse società partecipate, alcune di grande peso finanziario ed economico
  • La diatriba fra Marco Chiesa e Filippo Lombardi è stata solo l’ultima goccia di un vaso ormai traboccante
Un unicum in Ticino
(Ti-Press)
6 giugno 2025
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Era l’11 novembre del 2012. Per nulla impauriti dall’imminente fine del mondo pronosticata dal calendario Maya, un gruppo di consiglieri comunali del Plr di Lugano inoltrava a Palazzo civico la mozione ‘Governance per le partecipate’. Un’istanza che ha dato il via istituzionale a quella che si sta rivelando una via crucis, ossia l’adozione di un regolamento ad hoc sulla gestione delle entità maggioritariamente o integralmente di proprietà della Città.

Da questo punto di vista, Lugano rappresenta un unicum in Ticino. La più grande Città del cantone si è dotata di diverse società anonime partecipate, in un periodo storico nel quale la Legge organica comunale (Loc) non permetteva la costituzione di enti di diritto pubblico. La Ail (Aziende industriali di Lugano) Sa è la più grande, ma ce ne sono anche altre di importanti e remunerative, come la Tpl Sa e la Casinò Lugano Sa. Proprio come conseguenza delle tempeste abbattutesi su quest’ultima ai tempi della discoteca Nyx, sono nate la consapevolezza e l’esigenza di cambiare le regole del gioco. Un repulisti generalizzato ha di fatto estromesso tutti i municipali dal Consiglio d’amministrazione (Cda) e mentre i nuovi vertici societari si sono impegnati a fare ordine interno, la politica ha iniziato a riflettere su un regolamento che definisse gli aspetti più rilevanti del tema: criteri di nomina, entità delle indennità, mandati chiari ai rappresentanti dell’ente pubblico. Obiettivo: trasparenza.

È parsa da subito evidente la complessità del tema, dovuta – in estrema sintesi – alla necessità di trovare un equilibrio fra diritto societario e aspettative dell’ente pubblico, ma anche al fatto che gli interessi dei singoli (persone e partiti) hanno prevalso su quelli della collettività. Le polemiche più grosse, forse, le abbiamo vissute ai tempi delle nomine del Consiglio direttivo del Lac, ma discussioni più o meno accese si sono ripresentate poi a ogni rinnovo delle cariche a inizio legislatura, con ciascuno che reclama la propria fetta di torta. L’ultima è andata in scena nelle scorse settimane e si è rivelata particolarmente pesante, sono volate anche parole grosse, e ha messo in evidenza pure a livello comunale lo strappo fra Lega e Udc, e le rispettive cacce a nuove alleanze, riproponendo il dualismo fra Filippo Lombardi e Marco Chiesa, che ne ha preso il posto in Consiglio degli Stati.

A esserne uscito peggio nello scontro politico a livello d’immagine è l’ex presidente nazionale democentrista, riuscito comunque a farsi nominare con un colpo di strategia degno di Machiavelli. In realtà, la maggioranza dei municipali siede in vari Cda e la palma di presenzialista va a Lombardi, membro di una quarantina di gremi dirigenziali fra pubblici (una quindicina) e privati, non sempre esenti da conflitti d’interesse. Allargando il discorso ai consiglieri comunali e ai partiti – e in questo senso è la Lega che ha piazzato in assoluto più membri –, il quadro è chiaro: la necessità di regolamentare la governance cittadina è lampante. Ne va della fiducia stessa nei confronti della classe politica. Tutelare il sistema politico di milizia è un conto, foraggiare una dinamica nella quale le partecipate si trasformano in una sorta di refugium peccatorum è un altro, e va posto un freno.