laR+ IL COMMENTO

Non esistono donne non lavoratrici

Semmai donne non pagate per il proprio lavoro. L’importanza di presidiare anniversari come quello del 14 giugno per non farne vacue tradizioni retoriche

In sintesi:
  • Era il 24 ottobre del 1975 e tutti i supermercati islandesi avevano finito le salsicce, il piatto pronto più gradito a quei tempi: le donne si erano prese un giorno libero
  • Non è dato sapere se successe lo stesso in Svizzera durante lo sciopero femminista del 1991, ma anche qui buona parte del Paese si fermò
‘Il femminismo non ha mai ucciso nessuno’, mentre il patriarcato...
(Keystone)
14 giugno 2025
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“Verso sera, gli islandesi avevano già cominciato a chiamarlo il venerdì lungo. Era il 24 ottobre del 1975 e tutti i supermercati del Paese avevano finito le salsicce, ‘il piatto pronto più gradito a quei tempi’. Gli uffici erano stati invasi da torme di bambini ‘drogati’ dalle caramelle con cui gli adulti cercavano di tenerli buoni. Scuole, asili, fabbriche erano tutti chiusi o funzionavano a capacità ridotta. E le donne? Beh, le donne si erano prese un giorno libero”.

Non è dato sapere se analogamente a quanto riporta Caroline Criado Perez nel suo saggio ‘Invisibili’ pure i nostri negozi rimasero a corto di cervelat quando – era il 14 giugno 1991, decimo anniversario del voto che sancì il principio di uguaglianza nella Costituzione federale – centinaia di migliaia di donne in Svizzera decisero di scioperare. È invece noto che anche alle nostre latitudini buona parte delle attività almeno per un po’ quel giorno si interruppe. Nonostante i numerosi tentativi di intimidazione e ostracismo da parte di datori di lavoro ed esponenti politici – il presidente del Consiglio degli Stati Max Affolter arrivò a raccomandare alle donne di “non partecipare allo sciopero per non compromettere la benevolenza degli uomini nei confronti delle loro aspirazioni” – si è trattato della più ampia mobilitazione pubblica nella Confederazione dopo lo sciopero generale del 1918; una marea viola che si è riversata nuovamente nelle piazze nel 2019 e la cui onda lunga è arrivata fino a oggi.

È un genere di sciopero, quello femminista, in cui lavoratrici salariate si uniscono a studentesse, disoccupate, casalinghe, pensionate, madri, perché il lavoro è anche e soprattutto quello nell’ombra e giornaliero con cui le donne mandano avanti il mondo (…)

(…) assumendosi la maggior parte del carico domestico: dal cucinare al pulire casa, dal fare la spesa all’accudire bambini, anziani e persone bisognose. Carico che secondo l’Indagine sulle forze di lavoro in Svizzera pubblicata dieci giorni fa dall’Ufficio federale di statistica, nel 2024 costituiva ancora il 61% del lavoro totale svolto dalle donne (che tra retribuito e non retribuito ammontava a 57,2 ore a settimana) e solo il 42% di quello degli uomini (di 54,3 ore complessive). Cifre che confermano una delle tesi di Criado Perez, ovvero che “non esistono donne non lavoratrici, semmai donne non pagate per il proprio lavoro”.

Al reticolo di queste disparità se ne intrecciano numerose altre, creando grossi grovigli di discriminazioni e violenze che strutturalmente fagocitano le donne per il solo fatto di essere tali. Lo esplicitano bene le promotrici della manifestazione organizzata oggi pomeriggio a Bellinzona delineandone le drammatiche ragioni d’essere: non è normale che nelle prime 15 settimane di quest’anno ci siano stati 14 femminicidi in Svizzera; che per medesimi ruoli e qualifiche le donne continuino a guadagnare meno degli uomini; che le loro pensioni siano significativamente inferiori; che si perseguano politiche di tagli ai servizi pubblici a discapito soprattutto delle donne; che i corpi femminili siano i più colpiti dalle guerre. Non è normale – aggiungiamo – che l’elenco sia molto, molto più lungo di così.

Ben venga il passo avanti fatto ieri dal Gran Consiglio ticinese che ha votato all’unanimità affinché al pari di altri Cantoni pure il nostro si doti di una legge ad hoc contro la violenza domestica, ma i fronti anche sul piano politico in cui è fondamentale agire rimangono innumerevoli.

Di fronte a tale realtà, presidiare attivamente anniversari come quelli del 14 giugno, dell’8 marzo, del 25 novembre è un antidoto al trasformare queste date in vacue tradizioni retoriche, facendone invece delle tappe rigenerative in cui trovarsi insieme a dire con voce corale che tutto ciò non è accettabile. Tappe di un percorso che richiede un impegno quotidiano per liberare dalle prevaricazioni tutti i tipi di rapporti: lavorativi, istituzionali, sociali, familiari, di coppia. Affinché la lista di ingiustizie che imbrigliano e rovinano le esistenze delle donne si riduca sempre più fino a sparire. E quella della spesa degli uomini vada oltre gli insaccati.