Uno Stato di estremisti messianici che possiede l’arma atomica dichiara guerra a uno Stato di estremisti messianici che vorrebbe averla
Trump aveva dato sessanta giorni di tempo a Teheran per cessare le attività di arricchimento dell’uranio. Non appena scaduto l’ultimatum, Israele ha scatenato l’inferno contro il nemico persiano. Netanyahu mordeva il freno, e se ancora sussistesse qualche dubbio sul ruolo degli Stati Uniti, è stato lo stesso premier a fugarlo: “Senza il sostegno americano forse non avremmo lanciato l’attacco”. È dunque guerra tra Israele e Iran: una pioggia di bombe su abitazioni e centri nucleari iraniani, morti militari e civili, distruzione col rischio finora scongiurato di devastanti fughe radioattive. E poi il contrattacco iraniano, annunciato e scontato: centinaia di missili su Israele. È l’inizio di un nuovo incubo.
Nel forsennato rincorrersi dei commenti, sono in pochi oggi a ricordare due fattori che muterebbero l’ottica delle diverse analisi. Il primo: l’Iran aveva accettato l’accordo nucleare nel 2015, con le relative garanzie e sorveglianza internazionali. È stato proprio Donald Trump, sotto la pressione di Israele, a uscire unilateralmente tre anni dopo dalla storica intesa raggiunta dal suo predecessore Barack Obama. Il secondo riguarda l’unico Stato della regione che ha la bomba atomica: Israele. Se le inquietudini riguardo alla possibile minaccia nucleare iraniana sono comprensibili, lo Stato ebraico non ha mai spiegato perché non ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare per una denuclearizzazione di tutta la regione, unica reale garanzia di pace duratura. Uno Stato governato da estremisti messianici e che possiede l’arma atomica – scrive con amaro sarcasmo un acuto osservatore – dichiara guerra a uno Stato governato da estremisti messianici che vorrebbe averla. Il premier israeliano, ricercato per crimini contro l ‘umanità, infuocando di nuovo la regione allunga la sua speranza di vita politica. Anche perché di fronte agli allarmi lanciati dall’Aiea sulle possibili intenzioni del regime degli ayatollah, i tradizionali alleati si stringono di nuovo attorno Israele, che con l’eccidio di civili diventava alquanto impresentabile di fronte a un’opinione pubblica massicciamente indignata. L’Iran appare minaccioso e i guardiani del tempio occidentale, campioni del doppio standard, non devono neppure per una volta adattare la realtà alla retorica.
Tel Aviv apre così un nuovo fronte di guerra proprio (un caso?) alla vigilia del sesto round negoziale in Oman tra Iran e Usa. Vi sono pochi dubbi sulle capacità di Israele, Paese dall’intelligence e dalla tecnologia bellica impareggiabili, di sovrastare militarmente l’Iran. Ma quale sarà il prezzo della possibile vittoria? Verosimilmente una destabilizzazione regionale gravida di ulteriori conflitti e devastazioni. Altri Paesi potrebbero essere indotti a tentare l’avventura nucleare, essendo la bomba atomica l’unico deterrente in grado di spegnere gli ardori dello Stato ebraico. Una prospettiva insidiosissima.
E Gaza? Attaccando l’Iran, Netanyahu con il suo entourage di talebani, riesce nell’impresa di oscurare il dramma di milioni di civili, puniti collettivamente da ormai 600 giorni. Rafah, città che contava 275mila abitanti, non esiste più, titola Haaretz. Sezionato l’ultimo cavo a fibra ottica per le comunicazioni internet con la Striscia, il premier riuscirà forse finalmente a distogliere l’attenzione dai fastidiosi gemiti dei dannati della terra, puntando i riflettori su un’altra guerra.