Tiratissimo a livello cantonale, senza storia nel Locarnese: l’esito del voto referendario sul nodo intermodale ci parla di abitudini e certezze
Non c’è dubbio che l’elemento emergente dal voto referendario sul nodo intermodale in stazione a Muralto sia la distanza che all’occorrenza può esistere, in Ticino, fra il mondo politico e istituzionale e il cosiddetto “paese reale”. Da una parte avevamo Cantone, diversi Municipi (Locarno e Muralto in testa), partiti, enti, associazioni e tutti i portatori di interesse (Fart, Cit, Autopostale) che giuravano sull’unicità della variante di base per garantire al comparto un salto di qualità in termini di organizzazione viaria, separazione dei flussi, sicurezza e anche vivibilità. Altre soluzioni erano state esplorate nel corso degli anni ma nessuna, hanno sempre sostenuto i favorevoli, appare in grado di soddisfare se non tutte, almeno la maggior parte delle esigenze di una stazione sempre più sotto pressione.
Dall’altra, un solo e singolo comitato: quello, sparuto, del “salva”, che a Muralto e nel Locarnese ha dovuto sobbarcarsi tutto il peso della campagna per il “no” e lo ha fatto con un novero di voci che possiamo contare sulle dita di una mano. Davanti a tutti c’era il “cittadino comune” Gian-Luigi Varini – esercente, albergatore e politico “per disperazione”, già fra i referendisti contro la pianificazione della zona a nord dei binari, bocciata dal governo prima che lo potesse fare la popolazione alle urne – e con lui pochissimi altri. A memoria ne possiamo citare due: Renza De Dea, ex municipale a Locarno; e Michele Gilardi, già sindaco di Muralto e qualche volta, non solo in questo caso, in aperto contrasto con il fratello Stefano, attuale sindaco e principale carburante dell’energia propulsiva impiegata dal Varini nella sua attività politica.
Le maggiori incognite in vista del voto erano la tenuta della massiccia adesione popolare alle citate raccolte di firme, ma anche il peso aritmetico di un “resto del mondo” sicuramente più permeabile, poiché non direttamente coinvolto, a prendere per buone le argomentazioni a favore: tutte certamente qualificate e dispensate a volte come lezioni di semplice buonsenso. Peso che in effetti si è palesato, trasformando in un esito tiratissimo (50,08% di “no”, 102 schede di differenza sulle 67mila valide infilate nelle urne) quella che per i fautori del progetto sarebbe stata un’autentica “débâcle” se si fossero contati soltanto i voti espressi nei Comuni locarnesi.
È infatti stata la regione di riferimento, appunto con il suo “paese reale”, a rispondere da par suo ai reiterati avvertimenti lanciati dagli scranni più autorevoli. Non sappiamo se per il Locarnese e la sua mobilità quella uscita dal voto sia una vittoria o una sconfitta. Sappiamo però che simboli e usanze contano, specialmente laddove il territorio è considerato casa e la resilienza è un valore molto forte, in particolare in tempi come questi. Sacrificare parte del lungolago al transito dei bus e vedersi trasformato viale Cattori in un corridoio per i mezzi pesanti, e piazza Stazione in uno spazio a priori indefinito, era probabilmente chiedere troppo a chi quei luoghi ogni giorno li vive, magari anche disordinatamente, in un certo modo, cercando (spesso invano) parcheggio, ma ricalcando abitudini antiche. Probabilmente il busillis è proprio e semplicemente qui: cambiare è terribilmente complicato. La speranza è che non risulti esserlo, alla lunga e ancora di più, essersi abbarbicati sulle proprie certezze.