Il premier spagnolo Sánchez marca la distanza con gli alleati Nato nella foto di rito. Ma somiglia agli altri molto più di quanto non voglia far credere
Durante la foto di rito del vertice Nato dell’Aja, Pedro Sánchez si è messo di lato, lasciando uno spazio tra sé e gli altri leader, a mostrare fisicamente una distanza ideologica. Lui, il paladino della sinistra europea, che si è impuntato contro il 5% del Pil alle spese militari facendo infuriare Trump e diventando il nuovo mito di chi – buon per lui – spera ancora di trovare anime candide a governare un Paese.
Chissà se è stata un’improvvisazione, la sua, o se dobbiamo la mossa a qualche cinefilo del suo staff che si è ricordato della telefonata di Nanni Moretti in “Ecce Bombo”, quella in cui il protagonista – indeciso se andare o no a una festa – se ne esce con: “Che dici, mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo e mi metto così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce e voi mi fate ‘Vieni di là con noi, dai’ e io ‘Andate, vi raggiungo dopo’”.
Un gesto così plateale ha una spiegazione che va al di là della diplomazia internazionale. Sánchez è travolto dagli scandali nel suo partito (il Psoe) e la sua carriera è a rischio. Il numero tre del Psoe, Santos Cerdán, è stato accusato di corruzione pochi giorni fa, ed è già il suo terzo stretto collaboratore nei guai. Così come la moglie, Begoña Gómez, accusata di traffico di influenze illecite (in pratica avrebbe sfruttato la posizione del marito per ottenere favori e vantaggi), e il fratello David Sánchez.
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Il premier spagnolo con la moglie
Il premier non è direttamente toccato dalle indagini, ma la casa è in fiamme e da qualche parte bisognava trovare un po’ d’acqua da gettare sul fuoco. La querelle sul 5% e i dialoghi a muso duro con Trump e Rutte erano l’occasione perfetta per spostare l’attenzione sul versante internazionale e ristabilire quella credibilità da uomo tutto d’un pezzo di Sánchez, ex rottamatore immacolato arrivato per spazzare via le vecchie abitudini della politica per poi ritrovarsele fin nel letto coniugale. E quindi all’Aja c’è andato, eccome, per rivendicare un successo e poi mettersi in disparte, mostrarsi diverso, migliore.
Per quanto riguarda il 5% ha probabilmente ragione: togliere fondi a scuola, sanità e servizi per consegnarli a un riarmo disordinato, precipitoso e utile solo a compiacere Trump, è pericoloso. Ma la vera domanda è: quanto c’è di idealismo e quanto di calcolo nelle mosse del premier spagnolo? Non lo sappiamo, però sappiamo dove e quando ha già barattato gli ideali con la ragion di Stato o la propria poltrona.
Sánchez non riconosce l’indipendenza del Kosovo. Quando la Nazionale di calcio spagnola ci giocò contro, il nome Kosovo in tv fu scritto in minuscolo e ai telecronisti fu raccomandato di non pronunciare mai Kosovo, ma fare dei giri di parole. Il motivo? Madrid teme che riconoscerlo come Stato – minando così l’integrità territoriale della Serbia – possa riaccendere la miccia dell’indipendenza catalana. Mors tua vita mea. Un classico.
Ma c’è un’altra macchia sul suo curriculum da premier: la strage di migranti del giugno 2022 nell’enclave di Melilla, al confine col Marocco, in cui decine di persone furono massacrate e uccise dalla Guardia Civil e dalla polizia marocchina. Sánchez arrivò a congratularsi con le forze dell’ordine, scaricando tutte le responsabilità su misteriose mafie che attentano “all’integrità territoriale della Spagna” e provando a minimizzare l’accaduto. Un capolavoro di cinismo e ipocrisia, non solo poco di sinistra, ma totalmente disumano. Tutte cose che ne fanno – né più né meno – un politico. Nel complesso migliore di altri (e di tanti ci vuole proprio poco), di sicuro non il santo che oggi molti dipingono.
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Migranti in fuga a Melilla