laR+ IL COMMENTO

L’esecutivo all’assalto del giudiziario, ma di un altro Paese

Trump minaccia di imporre al Brasile dazi del 50% se il Paese latinoamericano non rinuncerà a processare il suo sodale Jair Bolsonaro

In sintesi:
  • Da un paio di lustri l’Occidente si tormenta su quale metà della piramide sia quella di Donald Trump
  • Siamo tutti in qualche modo assuefatti agli spropositi del tycoon
  • Gli analisti si sforzano di rintracciare una razionalità economica o geopolitica in questo attacco
(Keystone)
12 luglio 2025
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Ne ‘Il cavaliere oscuro’ – il Batman di Nolan che a quasi vent’anni dall’uscita, nel 2008, resta un compendio dell’attualità più efficace di un intero palinsesto di talk show – c’è una scena memorabile. Verso metà film il Joker si incontra per la spartizione del bottino con il capo dei mafiosi che inizialmente ha terrorizzato, mafiosi che poi si sono illusi di poterlo controllare alleandovisi. Insieme i due contemplano soddisfatti una gigantesca piramide di banconote, ma improvvisamente Joker fa immobilizzare il mafioso dai suoi scagnozzi, che intanto iniziano a spargere benzina sul denaro. Il mafioso si dimena, grida che il Joker è pazzo, che sta violando i patti. Ma il diabolico pagliaccio, serafico, prima di darlo in pasto ai suoi stessi cani gli spiega che in senso stretto non sta rimangiandosi la parola data: “Do fuoco solo alla mia metà”. Da ormai un paio di lustri l’Occidente si tormenta su quale metà della piramide sia quella di Donald Trump: gli interessa di più il profitto o vedere bruciare il mondo? Ma soprattutto: una volta appiccato l’incendio fa davvero differenza?

Il presidente degli Stati Uniti minaccia di imporre al Brasile dazi del 50% se il Paese latinoamericano non rinuncerà a processare il suo sodale Jair Bolsonaro, accusato di tentato colpo di Stato per l’assalto al palazzo presidenziale di Planalto, una ragazzata dei suoi sostenitori non dissimile dalle scorribande dei trumpiani a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, oltre che di aver progettato, senza portarli a termine, gli assassinii dei suoi tre principali avversari politici, tra cui l’attuale presidente Lula e un giudice della Corte Suprema (tutta roba che avrebbe potuto venire in mente a Nolan per il suo Joker, ma che all’epoca sarebbe stata probabilmente tagliata dalla sceneggiatura del cinecomic in quanto eccessiva, non verosimile).

Siamo tutti in qualche modo assuefatti agli spropositi di Trump e alla sua incrollabile fiducia nei dazi come strumento estorsivo, ma quest’ultima minaccia colpisce per la sua incredibile protervia: un ricatto violentissimo a un Paese sovrano; neppure al suo governo (si potrebbe dire che i ricatti tra governi sono la sostanza di ciò che garbatamente chiamiamo “relazioni internazionali”), ma ai suoi giudici. L’esecutivo all’assalto del giudiziario, ma di un altro Paese: questa non l’aveva prevista neanche Tocqueville, e se lo avesse fatto probabilmente avrebbe mollato per la frustrazione la faccenda della separazione dei poteri per darsi a tempo pieno all’altra sua grande passione, il giardinaggio.

Gli analisti, che ormai forse sarebbe meglio chiamare esegeti, si sforzano di rintracciare una razionalità economica o geopolitica in questo attacco, ma cercano la luna nel pozzo: il Brasile ha un saldo commerciale negativo con gli Stati Uniti, che quindi da una guerra dei dazi in questo caso hanno solo da perdere. Ecco il paradosso da cui non riusciamo a districarci: il tycoon diventato presidente, il businessman in chief, è anche il politico che sta svincolando l’azione di governo dal presupposto della razionalità economica, pietra angolare dell’economia neoclassica, quindi del capitalismo e della democrazia occidentale, o che perlomeno subordina la razionalità economica a una legge che gli è più cara, e alla quale evidentemente attribuisce le proprie fortune: quella del più forte. La scommessa di Trump non è sul tornaconto ma sull’anima della nostra civiltà, e il Joker di Nolan l’avrebbe riassunta così: “Non si tratta di soldi, si tratta di mandare un messaggio. Tutto brucia”.