laR+ LA TRAVE NELL’OCCHIO

È genocidio, ma non ditelo

Netanyahu, alla guida di un governo criminale, sta ripudiando, l’uno dopo l’altro, tutti gli strumenti giuridici voluti dopo il 1945

In sintesi:
  • I figli e i nipoti dei perseguitati sono diventati i persecutori, da vittime a carnefici
  • Il governo Netanyahu, in balìa degli ultraortodossi, è colpevole di crimini orrendi, alla pari di Hamas
(Keystone)
30 luglio 2025
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Nel 1945 li hanno costretti a sfilare, i cittadini tedeschi, a Buchenwald, Dachau, Bergen-Belsen, davanti ai cumuli di cadaveri, ai sopravvissuti ischeletriti, privati di ogni dignità umana e ridotti a numero: in tanti hanno accelerato il passo e sono andati oltre inorriditi, altri hanno abbassato gli occhi e distolto lo sguardo, smarriti e colpevoli allo stesso tempo. In molti sapevano ma hanno ignorato e taciuto. Oggi si ripropone l’orribile spettacolo di uno Stato che fa dello sterminio di un popolo e della fame uno strumento della politica. I figli e i nipoti dei perseguitati sono diventati i persecutori, da vittime a carnefici. A coloro che approvano la politica di Netanyahu bisognerebbe sbattere in faccia, come fecero gli alleati nel 1945, l’orrendo spettacolo di Gaza, di bambini e bambine uccisi per fame e fatti a pezzi dalle bombe. “È un genocidio”, ci dice Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sui diritti umani (‘Quando il mondo dorme’, Milano, 2025).

Certamente abbiamo il dovere di difendere il diritto di esistere di Israele, ma abbiamo uguale dovere di respingere la politica di sopraffazione che fa di una democrazia incompiuta (perché questo è sempre stato Israele), uno Stato autoritario che rinnega i principi su cui poggia qualsiasi democrazia liberale. Già nel 1956 una parte della stampa israeliana avvertiva, dopo i massacri perpetrati dall’esercito israeliano sul confine giordano, il pericolo di “diventare come i nazisti”. E ancora nel 1993 il filosofo israeliano Yeshayahu Leibowitz denunciò gli abusi dei coloni nei territori occupati e parlò di comportamenti che ricordavano i carnefici nazisti. David Grossman, il grande scrittore israeliano, lo disse il 22 maggio di quest’anno: “Davanti a tanta sofferenza il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante”: al di sopra di tutto, delle ragioni e dei torti, c’è l’umanità, c’è il nostro dovere di evitare la sofferenza degli altri.

Il governo Netanyahu, in balìa degli ultraortodossi (che fanno della religione uno strumento di distruzione), è colpevole di crimini orrendi, alla pari di Hamas. Ma anche noi siamo colpevoli. Noi cittadini dell’Occidente, noi governi dell’Europa ci indigniamo in nome dei grandi principi ma poi subentra l’opportunismo e l’assuefazione alla disumanità quotidiana. Le nostre coscienze sono annebbiate e in fondo ci convinciamo che quello che succede laggiù ci concerne poco: basta guardare altrove e gli esseri umani diventano numeri.

Ammonisce Anna Foa, autorevolissima storica e saggista ebrea: “Qualunque sostegno ai diritti di Israele – esistenza, sicurezza – non può prescindere dal diritto dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri” (‘Il suicidio di Israele’, Bari, 2024). Netanyahu, alla guida di un governo criminale, non l’ascolta e sta suicidando il suo Paese. Il governo di Israele oggi sta ripudiando, l’uno dopo l’altro, tutti gli strumenti giuridici voluti dopo il 1945 per impedire il ripetersi dell’orribile scenario. Quindi via il diritto internazionale, via la Corte penale internazionale, via le varie convenzioni che tutelano la dignità delle persone.

Il giorno della Memoria cade, ogni anno, il 27 gennaio. Doverosamente ricorderemo la Shoah, ma faremo fatica a dire “mai più”: difficile crederci ancora.