Questi sono stati mesi di colloqui e bilanci scolastici. Ma quando si parla di ‘studio d’ambiente’, i genitori sanno davvero di cosa si tratta?
Molti genitori, nel ricevere le valutazioni dei figli, si chiedono cosa significhi concretamente questa materia scolastica. Studiano la natura? È un mix tra geografia, scienze e storia? È una materia “jolly” che raccoglie ciò che non rientra nelle altre?
La realtà è molto più ricca. Presente nelle pagelle ticinesi fin dagli anni Ottanta, lo Studio d’ambiente è nato con un obiettivo ambizioso: aiutare i bambini a esplorare e comprendere il mondo che li circonda, intrecciando tempo, spazio e fenomeni. Oggi, di fronte a una realtà sempre più complessa, il suo ruolo si rinnova con nuovi strumenti e approcci, capaci di rendere gli allievi protagonisti attivi della conoscenza.
Di recente, il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs), nel processo di perfezionamento del Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese, ha previsto un rinnovamento e aggiornamento che, in misura variabile, sta coinvolgendo tutti i docenti dei primi due cicli di insegnamento della scuola dell’obbligo. L’idea è che ci si confronti con un approccio all’indagine della realtà di tipo transdisciplinare, salvaguardando allo stesso tempo le specificità metodologiche delle tre discipline coinvolte. Non basta più spiegare il ciclo vitale della rana o la storia del proprio comune come argomenti separati. L’idea è che un tema venga affrontato come parte di un sistema complesso, in cui natura, società e storia si intrecciano. L’osservazione analitica resta fondamentale, ma deve sempre essere accompagnata da una visione più ampia, capace di cogliere relazioni e connessioni.
L’approccio allo Studio d’ambiente non può fare astrazione dal territorio e dalla società in cui siamo immersi. La ricerca conferma come le situazioni che riguardano direttamente la realtà che circonda le classi risultano essere più efficaci e pregnanti rispetto a quelle riguardanti scenari ipotetici, percepiti come distanti o lontani dalla quotidianità.
Questo modello vede lo Studio d’ambiente basarsi su tre pilastri: il patrimonio, il pensiero sistemico e l’esplorazione.
La nozione di patrimonio ha conosciuto una graduale estensione della sua portata. Se inizialmente si legava a monumenti commemorativi e a documenti ufficiali, le varie convenzioni Unesco succedutesi dagli anni Cinquanta del XX secolo hanno allargato tale concezione a beni culturali e naturali, materiali e immateriali, caratterizzati da un “valore universale eccezionale” più che da una dimensione nazionale e patriottica. Per lo Studio d’ambiente il termine assume un’accezione ancora più ampia che, in un’ottica pedagogico-didattica, va a inglobare anche aspetti più intimi e personali che, partendo dalla dimensione valoriale dell’individuo, si estendono alle scelte di valorizzazione e conservazione personali e collettive.
Da sempre l’essere umano esplora il mondo che lo circonda, cercando di comprenderne i fenomeni attraverso l’osservazione e la classificazione. Dai primi utensili in selce fino ai più avanzati microprocessori, la conoscenza è stata costruita pezzo dopo pezzo, guidata dall’idea che scomporre la realtà nei suoi elementi fondamentali fosse il modo migliore per comprenderla e dominarla. Questo approccio analitico e riduzionista ha permesso progressi straordinari, ma oggi, di fronte a sfide globali sempre più complesse, si rivela insufficiente.
Il cambiamento climatico, la crisi delle risorse, le interdipendenze economiche e sociali ci mostrano chiaramente come gli eventi non possano essere letti in modo isolato. Ogni azione ha conseguenze che si propagano su scale diverse, spesso in modo imprevedibile. Da qui nasce la necessità di un nuovo sguardo: un pensiero che non frammenta, ma connette.
Il pensiero sistemico si propone proprio di sviluppare questa capacità, allenando a cogliere la rete di relazioni che lega ogni fenomeno ad altri, vicini e lontani nel tempo e nello spazio. Non si tratta di rinunciare all’analisi, ma di superare una visione a compartimenti stagni per abbracciare un approccio che integra discipline, punti di vista e livelli di realtà.
Nel contesto educativo, ciò significa portare in classe un modo di investigare il mondo che aiuti a capire come le scelte individuali influenzino il contesto collettivo, come i fenomeni naturali si intreccino con quelli sociali e come le soluzioni ai problemi non possano prescindere dalla consapevolezza delle loro ricadute. In un’epoca in cui tutto è connesso, imparare a pensare in modo sistemico non è solo una competenza, ma una necessità.
La centralità del processo esplorativo è il terzo grande fondamento dello Studio d’ambiente. Nell’ottica di rendere le allieve e gli allievi attivi nel processo di apprendimento e di valorizzare gli aspetti metodologici, ecco che il processo dell’esplorare acquisisce un ruolo chiave. Aiutare allievi e allieve a porsi delle domande, a formulare ipotesi, a progettare e realizzare indagini sperimentali o documentali, ad analizzare dati, a riflettere su quanto successo e a giungere a conclusioni pertinenti è fondamentale nella formazione obbligatoria. Le competenze metodologiche acquisite potranno poi essere adattate, una volta fatte proprie, ai contesti quotidiani e un domani a quelli lavorativi.
Il rinnovamento della scuola parte dagli insegnanti. Con questa convinzione, il Dipartimento formazione e apprendimento / Alta scuola pedagogica della Supsi, in collaborazione con il Decs, ha lanciato il Certificate of Advanced Studies (CAS) Formarsi per formare in Studio d’ambiente. Un percorso pensato per dare agli insegnanti strumenti concreti per ripensare l’insegnamento di questa materia, trasformandoli in figure chiave per l’innovazione didattica nelle scuole ticinesi. 20 docenti hanno così raccolto la sfida, diventando pionieri di un approccio che supera la semplice trasmissione di nozioni per stimolare un modo di leggere la realtà più integrato e consapevole.
Un percorso che non è un semplice aggiornamento professionale, ma un investimento strategico per la scuola ticinese: formare insegnanti in grado di accompagnare i colleghi nel cambiamento significa gettare le basi per un sistema educativo più moderno, in grado di preparare i cittadini di domani a comprendere la complessità del mondo che li circonda.
*Daniele Bollini, docente di didattica della storia (DFA/ASP)
Alessio Carmine, docente senior in Didattica delle scienze naturali (DFA/ASP)
Daniele Milani, ispettore scolastico per il Locarnese e Valli
Lorena Rocca, professoressa in Didattica della geografia (DFA/ASP)
In collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento/Alta Scuola Pedagogica