laR+ Quando cade un quadro

A volte i papà se ne vanno a mezzanotte

Da quel risveglio improvviso e brutale, ho iniziato a sentire un freddo gelido in gola

Un paio di anni fa, nel cuore di una notte di marzo è caduto un quadro. Stavo dormendo da poco ed ero in una fase di sonno profondo. La sera prima ero molto agitata, avevo mille pensieri e preoccupazioni ed ecco che poi, l’ordine del mio mondo è stato gettato in aria giusto il tempo di una telefonata. Il mio cellulare dice che era mezzanotte e trentotto minuti. Il medico di turno ha avuto l’ingrato compito di comunicarmi che il nostro adorato papà se n’era andato per sempre. Quel bravo dottore era molto dispiaciuto per me, volevo essere accanto al papà nei suoi ultimi minuti di vita, ma il tutto è accaduto molto repentinamente. Ero pietrificata, smarrita e il pavimento si era come sfilato da sotto i miei piedi. Era caduto un quadro e, da quel risveglio improvviso e brutale, ho iniziato a sentire un freddo gelido in gola. Ho messo in pratica tutto ciò che sapevo sulla respirazione e il respiro era una delle poche cose che potevo controllare in quel momento. Il papà era ricoverato da alcuni giorni e la chiamata di quella notte non è arrivata nella mia calda e confortevole casa, bensì in una piccola pensione dove soggiornavo per essere più vicina alla clinica. Dopo aver chiuso la telefonata ho avuto la sciocca reazione di fare tutto di corsa, come se questo potesse cambiare qualcosa. Assurda a volte la nostra mente! Ho indossato i primi indumenti trovati sulla sedia, mi sono lavata il viso e i denti e ho ricomposto i bagagli alla rinfusa. Poi ho lasciato i soldi del mio soggiorno su un tavolino all’entrata della struttura, con un biglietto dove raccontavo il perché della mia “fuga”, muovendomi a tastoni nel buio di un posto che non conoscevo. Sono uscita correndo con la mia piccola valigia in un paese che dormiva. Avrei voluto urlare, e invece non usciva nemmeno una piccola lacrima. Correvo anche se non c’era più nessuno da salvare. Mia mamma se n’era andata da qualche anno, quindi quello era ufficialmente il mio primo giorno da orfana. Il papà apprezzava molto quel medico, è riuscito a scherzare con lui anche poco prima di chiudere gli occhi e questo mi rallegra e consola. Non si è smentito nemmeno nel suo modo di morire. È morto così come ha sempre vissuto: con la risata.

Chissà, forse voleva rassicurare gli altri, e magari anche sé stesso. Sapevamo che la sua vita aveva i giorni contati, eppure non sono mai riuscita a parlare di questo con lui. Come varcavo la porta della sua stanza, per me era più facile “tirare fuori il mio clown” e creare uno spazio di normale quotidianità, chiedendogli se preferiva il gelato alla vaniglia o quello alla fragola, guardando un dibattito politico in Tv (la politica era una sua passione) o rimanendo anche per ore in silenzio. E non un silenzio tombale, piuttosto un “esserci in silenzio”. Dargli tutti la nostra presenza, fargli sapere che era amato e non era solo. È caduto un quadro, e penso che fino a quando camperò ci sarà sempre un angolino della giornata in cui sentirò nostalgia della mia vita da figlia.