Tumore alla prostata

Terapia focale: sfide e nuove frontiere nella cura

Nuovi approcci distruggono le cellule tumorali garantendo qualità di vita, preservando le funzionalità e riducendo gli effetti collaterali

L’obiettivo è riuscire ad intervenire solo laddove è necessario, riuscendo quindi a intaccare il meno possibile i tessuti sani
(depositphotos)

La salute della prostata è un tema di crescente importanza nella medicina moderna, complici le sempre più avanzate opzioni terapeutiche disponibili. Particolarmente in Ticino il fenomeno è rilevante, con un aumento dei casi diagnosticati non solo tra gli over 70, ma anche tra uomini a partire dai 50 anni. Per approfondire le nuove frontiere nella cura di questo tumore, abbiamo avuto il privilegio di intervistare il professore Daniel Eberli, direttore del Dipartimento di urologia dell’Ospedale universitario di Zurigo e professore ordinario di urologia presso l’Università di Zurigo, che ha contribuito a dare forma all’introduzione dell’innovativa tecnica chirurgica su base robotica. Tra le tecniche innovative spicca la terapia focale, un approccio che potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento del carcinoma prostatico.


Il Professor Eberli

Professore, qual è oggi la situazione del carcinoma prostatico in Svizzera?

In Svizzera è il tumore più diffuso tra gli uomini. Ogni anno registriamo circa 7’000 nuovi casi e si contano ancora circa 1’500 decessi. L’invecchiamento della popolazione, in particolare con la generazione dei baby boomer, che sta raggiungendo fasce d’età più avanzate, sta contribuendo a un incremento significativo dell’incidenza. Si prevede un aumento superiore al 35% nei prossimi dieci anni. Questo scenario rende ancora più cruciale il ruolo della prevenzione e della diagnosi precoce, strumenti fondamentali per ridurre la mortalità e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

In caso di tumore alla prostata la prostatectomia radicale o la radioterapia sono trattamenti standard. In che cosa consistono?

Le terapie radicali, come la radioterapia esterna e la prostatectomia radicale, restano i pilastri del trattamento del carcinoma prostatico. Entrambe mirano a trattare l’intera ghiandola prostatica con l’obiettivo di eliminare completamente il tumore. La chirurgia, che comporta la rimozione della prostata e delle vescicole seminali, con la successiva riconnessione della vescica all’uretra, è un intervento complesso, con possibili conseguenze, come l’incontinenza urinaria, che colpisce circa il 10% dei pazienti, e la disfunzione erettile, presente fino al 40% degli uomini sottoposti al trattamento. Le complicazioni dipendono in larga misura dallo stadio in cui viene diagnosticato il tumore. Una diagnosi precoce consente di preservare un maggior numero di fasci nervosi, riducendo così l’impatto negativo sulla qualità di vita del paziente. I progressi tecnologici hanno permesso lo sviluppo di tecniche chirurgiche sempre più raffinate, come la chirurgia robot-assistita, che consente una maggiore precisione e la possibilità di preservare le delicate fibre nervose responsabili della funzione erettile.

Quali sono le differenze principali tra radioterapia e chirurgia in termini di effetti collaterali?

Radioterapia e prostatectomia radicale possono presentare effetti collaterali differenti. Sebbene dopo due o tre anni i pazienti riferiscano una frequenza simile di complicazioni, la radioterapia comporta un impatto meno brusco e graduale sulla funzione erettile nelle fasi iniziali del trattamento. Al contrario, la chirurgia espone il paziente a tutti i rischi immediatamente dopo l’intervento, seguita però da un progressivo miglioramento della funzione erettile nel tempo. La scelta del trattamento dipende da molti fattori: l’età del paziente, lo stato di salute generale e le caratteristiche specifiche del tumore.

Si parla sempre più di sorveglianza attiva, una strategia per i tumori a basso rischio. In quali casi si sceglie di non operare?

La sorveglianza attiva rappresenta un cambiamento di paradigma nella gestione del carcinoma prostatico a basso rischio. Invece di intervenire immediatamente con terapie invasive, monitoriamo da vicino l’evoluzione del tumore attraverso controlli regolari con esami del PSA, risonanze magnetiche e biopsie periodiche. Questo approccio è indicato per tumori con un basso punteggio Gleason (3+3) (uno dei più importanti fattori prognostici per il tumore, ndr), che spesso non progrediscono in modo aggressivo. In Svizzera la sorveglianza attiva ha acquisito un ruolo centrale nella gestione del carcinoma prostatico a basso rischio. Le statistiche indicano che solo il 50% degli uomini sottoposti a questa strategia necessita di un trattamento entro dieci anni dalla diagnosi. La comunità scientifica internazionale sta persino considerando l’ipotesi di non definire più queste forme come ‘cancro’, poiché le cellule non sono né in grado di diffondersi al di fuori della ghiandola prostatica, né di mettere a rischio la vita del paziente. L’obiettivo è evitare i potenziali effetti collaterali delle terapie senza compromettere la sicurezza.

Un tema innovativo è la terapia focale, un approccio mirato con minori effetti collaterali. Può spiegarci di che cosa si tratta?

La terapia focale con il trattamento HIFU, che consiste in ultrasuoni focalizzati ad alta intensità, è una delle frontiere più promettenti nella cura dei tumori, a condizione che siano ben localizzati e poco aggressivi. Consiste nel trattare esclusivamente la zona affetta da tumore, salvaguardando il tessuto circostante e le strutture nobili deputate alla funzionalità erettile e alla continenza urinaria. Negli ultimi dieci anni abbiamo trattato presso l’ospedale universitario di Zurigo oltre 300 pazienti, con risultati molto incoraggianti. Meno del 10% riferisce una riduzione della funzione sessuale e l’incontinenza urinaria è rara, con un’incidenza inferiore all’1%. Inoltre il ricovero ospedaliero è breve, di solito due notti, e il recupero completo avviene in circa due settimane. Questo approccio offre un’eccellente qualità di vita post-trattamento, pur mantenendo un efficace controllo della malattia. Ciò nonostante questa nuova strategia deve essere ulteriormente sviluppata; è ancora oggetto di discussione tra gli esperti.

A lungo termine quali sono le percentuali di successo e dei rischi di recidiva?

I dati internazionali, in particolare quelli provenienti dal Regno Unito, mostrano che il 75% dei pazienti mantiene la prostata intatta, senza necessità di ulteriori trattamenti anche dopo otto anni di follow-up. Presso il nostro ospedale universitario i risultati sono simili: circa il 75% dei pazienti rimane libero da terapie radicali a tre anni dalla terapia focale. Questo dimostra che è possibile gestire efficacemente il carcinoma prostatico riducendo al minimo gli effetti collaterali e preservando la qualità della vita.

La situazione in Ticino va verso una maggiore accessibilità a questa terapia?

La terapia focale è disponibile principalmente nei grandi centri ospedalieri. I pazienti del Canton Ticino vengono indirizzati verso strutture specializzate per valutare la fattibilità di questo approccio più conservativo. La domanda crescente evidenzia l’interesse per soluzioni meno invasive, anche se l’accesso a queste tecniche dipende ancora dalle risorse e dall’esperienza dei centri di riferimento.

Quali sono le nuove frontiere diagnostiche per il tumore alla prostata, ad esempio lo Stockholm 3, e quali vantaggi offrono rispetto al tradizionale PSA?

La diagnosi del carcinoma della prostata ha compiuto enormi progressi negli ultimi anni grazie a innovazioni tecnologiche e biologiche. Oggi la risonanza magnetica multiparametrica consente una localizzazione estremamente accurata del tumore. Ma l’evoluzione non si ferma qui. Oltre al classico dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico), sono stati sviluppati nuovi test del sangue ad alta precisione. Tra questi spicca lo Stockholm 3, test che analizza oltre 200 sequenze genetiche per determinare la probabilità che un paziente abbia un tumore prostatico clinicamente rilevante, ovvero un tumore che richiede un trattamento attivo. Questo test offre un livello di accuratezza superiore rispetto al semplice PSA, riducendo il rischio di falsi positivi e diagnosi eccessive.

Il test diagnostico Stockolm 3 è una risorsa preziosa, ma non ancora per tutti. Per quale motivo?

Già ampiamente utilizzato nei Paesi nordici, come Svezia e Norvegia, il test Stockholm 3 potrebbe contribuire a ridurre la necessità di biopsie invasive. In caso di esito che indica un’alta probabilità di tumore, i pazienti vengono sottoposti a ulteriori approfondimenti. Tuttavia l’assenza di dati di ricerca sufficienti ne limita l’applicazione a livello globale. Inoltre il costo elevato, pari a circa 650 franchi, rappresenta un ulteriore ostacolo alla sua diffusione in Svizzera, rendendolo accessibile solo a una parte limitata della popolazione e riducendone l’utilizzo su larga scala.

Considerando che il cancro alla prostata è il tumore più diffuso tra gli uomini, ci sono altre innovazioni promettenti per la diagnosi precoce non invasiva?

La ricerca sta esplorando nuovi orizzonti, come i biomarcatori urinari e persino l’analisi dell’aria espirata. Presso l’Ospedale universitario di Zurigo un team di studiosi sta indagando la presenza di proteine specifiche nelle urine, in grado di segnalare precocemente la presenza del tumore. L’idea per questi studi è nata da sorprendenti esperimenti eseguiti nel Regno Unito con cani addestrati, capaci di rilevare il cancro alla prostata nell’urina dei pazienti ammalati attraverso l’olfatto, con una precisione sorprendente, sopra al 90%. Il fatto che i cani possano identificare il tumore attraverso l’olfatto suggerisce la presenza di marcatori biologici volatili nel corpo umano, aprendo la strada a diagnosi non invasive e altamente precise. In parallelo si stanno sviluppando anche test basati sull’aria espirata, simili a quelli utilizzati per rilevare l’alcol nel sangue. L’obiettivo? Poter diagnosticare un tumore semplicemente analizzando il respiro del paziente, rendendo lo screening ancora più semplice e accessibile.