Studio clinico dell'Università di Toronto apre nuove prospettive per una cura scalabile del diabete giovanile
Si riaccende la speranza concreta di una cura potenzialmente scalabile a tanti pazienti affetti da diabete 1, e con risultati davvero ottimali: dieci pazienti con la malattia, anche detta diabete insulino-dipendente o giovanile (l'esordio avviene quasi sempre in giovane età), e uno scarso controllo della malattia, sono guariti dal diabete, ovvero non hanno dovuto più usare insulina, grazie a una singola infusione di cellule pancreatiche produttrici dell'ormone insulina, del tutto mature e prodotte a partire da staminali da donatore (zimislecel). È il risultato di uno studio clinico condotto da ricercatori dell'Università di Toronto.
Pubblicato su "The New England Journal of Medicine", si tratta di uno studio di fase I/II per valutare se zimislecel potesse ripristinare in modo sicuro la funzione delle isole pancreatiche e migliorare il controllo glicemico negli adulti con diabete di tipo 1.
Ebbene, una singola infusione di zimislecel della Vertex, insieme a immunosoppressori, ha ripristinato la funzione fisiologica delle isole pancreatiche e migliorato notevolmente il controllo glicemico, dando quindi un'alternativa cellulare potenzialmente scalabile alla terapia insulinica a vita e ai trapianti da donatori. È attualmente in corso uno studio più avanzato.
Il diabete 1 è una malattia autoimmune in cui il paziente, a seguito di un attacco improprio del proprio sistema immunitario contro il pancreas, perde le cellule che producono l'ormone per il controllo glicemico. Ne soffrono più di 8 milioni di persone nel mondo. È la più comune malattia metabolica dell'infanzia.
I sistemi automatizzati di somministrazione dell'insulina e i monitor continui del glucosio hanno ampliato le opzioni disponibili per molti pazienti. Ma anche con una terapia insulinica intensiva, la maggior parte di essi non raggiunge mai i livelli glicemici raccomandati. E poi c'è il rischio di ipoglicemie se la gestione dell'insulina diviene difficile. Per i pazienti con ridotta consapevolezza dell'ipoglicemia, non in grado di avvertire per tempo il calo del glucosio, il problema può divenire molto serio.
Ad oggi per alcuni si può optare per i trapianti di isole pancreatiche o di organi interi da donatori, tecnica tuttavia difficile da diffondere e comunque solo parzialmente risolutiva. Nonostante i tentativi più disparati, una soluzione ancora tarda ad arrivare. La stessa Vertex pochi mesi fa ha interrotto un'altra sperimentazione con cellule incapsulate in un dispositivo immunosoppressore.
I test con zimislecel invece procedono: nello studio 14 volontari sono stati seguiti per almeno 12 mesi dopo una singola infusione di zimislecel nella vena porta (quella che entra nel fegato). Tutti i partecipanti sono stati trattati con terapia immunosoppressiva. Tra i 12 soggetti che hanno ricevuto la dose completa, tutti sono rimasti esenti da ipoglicemia grave, hanno raggiunto un valore di emoglobina glicata inferiore al 7% (parametro che misura il controllo glicemico a lungo termine) e hanno trascorso più del 70% del tempo con una glicemia in regola durante il primo anno. Dieci sono diventati indipendenti dall'insulina e la dose media di insulina nei restanti due è diminuita drasticamente.