Festa per il trottatore più vincente della storia. Gli facciamo gli auguri col chiassese Massimo Bianchi, che a questo cavallo è davvero molto legato
«A fare di Varenne un cavallo diverso da tutti gli altri, ancor più della forza fisica, era il coraggio eccezionale, che aveva ereditato in pieno da suo padre, Waikiki Beach». Parole di Massimo Bianchi, chiassese, classe 1948, da sempre appassionato di trotto e che di Waikiki Beach era il proprietario. Chi meglio di lui, dunque, per parlare di Varenne, il trottatore più celebre della storia, che proprio oggi compie 30 anni?
«A legarmi a Varenne, in realtà», specifica Massimo, «non è solo suo padre: sono infatti stato proprietario anche della sua nonna e della sua bisnonna da parte di madre, entrambe dimostratesi più che discrete cavalle in pista, ma davvero eccellenti come fattrici ». Cosa vi avevo detto?
Varenne, anche per chi non mastica ippica, non ha bisogno di presentazioni particolari: unico equino della storia mondiale ad aver vinto il titolo di Cavallo dell’anno in tre differenti nazioni – Italia 2000, 2001, 2002; Francia 2001 e 2002; Stati Uniti 2001 – è anche il solo trottatore a essersi aggiudicato in una sola stagione (2001) il Grande Slam europeo (Amérique, Lotteria e Elitloppet) e il Breeders Crown, la corsa più importante degli Stati Uniti. Nessuno, fra l’altro, ha mai accumulato in pista vincite maggiori: oltre sei milioni di euro in totale.
Dopo il ritiro dalle corse, avvenuto nel 2002, Varenne – soprannominato Il Capitano – è divenuto riproduttore: dapprima presso un allevamento in Piemonte, in seguito vicino a Pavia, poi non lontano da Lodi e infine, neanche due mesi fa, ha trovato ospitalità a Eboli, in Campania. Dal suo pregiato seme, dunque, ancora oggi nascono cavalli dalle enormi potenzialità, e che spesso e volentieri mostrano una certa inclinazione alla vittoria, un vecchio vizio di famiglia. E grandissimo razzatore era ovviamente anche suo padre, il già citato Waikiki Beach…
«Waikiki Beach lo presi nel 1987», racconta Bianchi, «un’annata di campioni pazzeschi, fra cui c’erano anche Napoletano, che avevo allevato io, e Mack Lobell: quei due si dividevano sempre i primi due posti. Tutti gli altri cavalli, in quegli anni, correvano al massimo per il terzo posto. E Waikiki, all’inizio, quando aveva due anni, aveva addirittura battuto Mack Lobell, mentre in seguito riusciva spesso a piazzarsi subito dietro quei due mostri sacri. E rimasi incantato dal coraggio che mostrava, davvero da leone. E il coraggio, secondo me, è qualcosa che si riesce a trasmettere anche alla discendenza. E così iniziai a pensare che sarebbe potuto diventare un eccellente riproduttore. Coi cavalli, ovvio, non si può mai sapere, non c’è mai nulla di certo. Ma è innegabile che sulle sue potenzialità come razzatore, benché in gara avesse vinto meno del previsto, io avevo grande fiducia fin dall’inizio. Ed è per questo motivo che dapprima volli acquistarlo, e poi non volli mai venderlo, malgrado le richieste che ricevevo. Innegabilmente aveva un piccolo difetto: in corsa, in curva, ‘andava un po’ fuori a sinistra’, e teneva anche la testa storta. E per quel motivo, quando era giovane, la maggior parte dei compratori lo snobbò, lo battezzavano come zoppo. Ma io, come detto, l’avevo visto mostrare un coraggio inimmaginabile, e così lo comprai. Mi diede anche qualche soddisfazione in pista, eh, qualche gara la vinse, ma – come detto – l’investimento l’avevo fatto in proiezione futura, perché sentivo che avrebbe generato ottimi cavalli. Il fertility test fatto circa un anno dopo il ritiro dalle corse risultò ottimo e infatti ha poi creato, fra gli altri, anche il leggendario Varenne, che oltre a essere forte, è sempre stato intelligentissimo e un lottatore eccezionale. Più di ogni altra cosa, dunque, nei razzatori conta il carattere, e Varenne stesso, proprio come suo padre Waikiki Beach, infatti ha dato dei cavalli eccellenti, un sacco di campioni».
Massimo Bianchi, di cavalli, si occupa da sempre: i trottatori, che compra e vende da una vita, rappresentano fra le sue varie attività la più amata e la più importante in assoluto. «Il cavallo mi ha immediatamente affascinato, fin da quando ero un bambino di cinque anni. I miei genitori avevano un negozio qui a Chiasso, in Bagnéta (l’attuale Via Livio, ndr), e fra i loro clienti c’era un signore che arrivava sempre con un cavallo attaccato a un calessino. Io rimanevo incantato da quell’animale, e lui ogni tanto mi faceva salire per fare un giretto nei paraggi. Dopodiché, quando avevo 13 anni, ho cominciato seriamente a interessarmi di equini, iniziando ad andare a sella presso un maneggio-scuderia situato a Grandate, periferia di Como, di proprietà di un signore che allevava anche cavalli da trotto. E così, dopo un paio d’anni, ho iniziato anch’io a domare puledri, con un certo signor Tommasini, che a un certo punto, nel 1963 – dunque quando avevo 15 anni –mi regalò il 25% di una cavallina che si chiamava Lady Como. E l’anno seguente, vedendo un puledro che andava velocissimo, convinsi mio padre e un suo socio a comprarlo. Andò benissimo, visto che vinse 4-5 gare consecutive, con distacchi enormi sui rivali. A quel punto, la passione diventò enorme, e da allora non ho mai smesso di comprare, allevare, vendere e allenare cavalli da corsa. In America a comprare cavalli ci andai per la prima volta nel 1966, diciottenne, dopo aver studiato per sei mesi tutti i giornali specializzati statunitensi. Riuscii a comprare un cavallo che si chiamava Sun Fire, e fui di nuovo fortunato visto che, portato in Europa, vinse il Gran Premio delle Nazioni, il Gp d’Inverno e altre 4-5 corse importanti. È stato l’unico cavallo a vincere Nazioni e Inverno lo stesso anno. Senti questa: mia mamma, che nel frattempo si era pure lei appassionata ai cavalli e alle corse, una volta andò a Torino dal celebre Rol, mago e sensitivo. Gli chiese fra le altre cose se questo cavallo, prima o poi, poteva vincere qualcosa di importante. E lui le disse: vincerà la prima volta che correrà col numero 5. Ebbene, al Gp delle Nazioni – qualche mese più tardi – aveva proprio il 5, e quello fu il suo primo successo. Un buon acquisto fu anche Hampton Hanover, che fu decretata la miglior fattrice dello Stato di New York, e infatti mi diede un sacco di cavalli buoni. Fra l’altro, pochi giorni fa, al Gp Lotteria a Napoli sono arrivati primo e secondo due fratelli da parte di madre (cosa che non succede praticamente mai) che derivano proprio da quella meravigliosa fattrice».
Segue una sequela interminabile di fantastici aneddoti relativi a decine di cavalli, guidatori, allevamenti, aste, rilanci, premi, compravendite, strategie, prezzi, ripicche: insomma tutto ciò che, in oltre mezzo secolo, ha portato Massimo Bianchi ad aggiudicarsi – fra Europa e Stati Uniti – la bellezza di 112 Gran Premi (parliamo della categoria più prestigiosa) con 35 cavalli diversi. È affascinante sentirlo raccontare i retroscena di un ambiente non certo facile, in cui le fregature sono sempre dietro l’angolo, dei rapporti con proprietari, allenatori e allevatori, e con chi alle aste tenta sempre di fregarti. Sentirlo parlare di qualche strano personaggio che orbita attorno agli ippodromi mi fa ripensare a certi racconti di ambito appunto ippico scritti dallo strepitoso, inimitabile Beppe Viola, che Massimo fra l’altro ha conosciuto molto bene. «Si può dire che eravamo proprio amici. Beppe era un grande, un fenomeno. Andavamo insieme alle corse a San Siro e poi ci spostavamo al Derby, tempio del cabaret milanese». Dove Massimo entrò in confidenza anche il mitico proprietario del locale – Gianni Bongiovanni – oltre che con moltissimi artisti come ad esempio Cochi e Renato, col giovanissimo Diego Abatantuono e con Jannacci… «Per Enzo ho scritto pure una canzone», aggiunge senza enfasi, come se si trattasse di una bazzecola. «Si intitola ‘El me indirìss’, la conosci?». Stai scherzando, Massimo? È uno dei miei pezzi preferiti in assoluto. «Scrissi il testo con Tonino Balducci, ma alla fine a firmarla fu soltanto Jannacci. Lui avrebbe dovuto cantare anche un altro pezzo scritto da me e Tonino, ma poi non lo fece perché nel frattempo aveva litigato con Balducci. Enzo, fra l’altro, giocò lo stesso brutto scherzo proprio a Beppe Viola, con ‘Vincenzina e la fabbrica’. A scriverla fu Viola, il quale però purtroppo non vide mai neanche una lira in diritti d’autore. E al povero Beppe – con quattro figlie, il più che modesto stipendio della Rai e il vizio di giocare ai cavalli – un po’ di soldini per la verità sarebbero anche serviti».
Vecchi tempi: oggi invece Massimo Bianchi – che vive facendo fa la spola fra Chiasso e Rio de Janeiro, e per diversi anni è stato pure produttore di eccellenti vini piemontesi – che cosa fa? «Sono ancora proprietario di cavalli, che però partecipano soltanto a corse soprattutto negli Stati Uniti. In Italia, infatti, il business ha vissuto una crisi pazzesca, e non conviene più, sotto ogni punto di vista, ma specie per la gravissima situazione economica. In America, dove ho concentrato la mia attività investendo un po’ di soldi in qualche fattrice, al momento attuale insieme ai miei soci ho una manciata di giumente che producono cavalli eccellenti, e ogni anno riesco a portarne 3, 4, 5 o 6 alle aste riservate agli esemplari di 18 mesi. Inoltre, ho un paio di trottatori davvero in gamba, specie Allegiant, una cavallina che – appena può – riesce a mettere il muso davanti a tutti gli avversari. Negli ultimi due anni, questo meraviglioso regalo della natura – premiata come miglior femmina di 3 anni negli Usa – ha vinto la bellezza di 11 Gran premi, fra cui i prestigiosissimi Breeders Crown e American Nation. E così, fra premi intascati alle corse e incassi derivanti dalle aste, si riesce ancora a farlo rimanere un mestiere interessante».