È morto a 87 anni uno dei più grandi pesi medi della storia, che fu pure simbolo di riscatto per i profughi istriani giunti in Italia negli anni '50
La sua sfida al Madison Square Garden di New York contro Emile Griffith nell’aprile del 1967 aveva tenuto sveglio ogni appassionato della noble art sparso per il pianeta. Unico italiano ad aver conquistato la corona mondiale in due diverse categorie, Nino Benvenuti – morto martedì a 87 anni a causa di una malattia – era un pugile estremamente tecnico e veloce, oltre che in possesso di una notevole castagna. Prima di lui, fra gli europei, solo Marcel Cerdan – roccioso avversario di Jake LaMotta e celeberrimo amante di Edith Piaf - era stato capace di strappare la corona dei pesi medi a un americano in territorio statunitense.
Oro nei welter nel ‘60 a Roma – edizione olimpica in cui vinse precedendo Cassius Clay pure la Coppa Barker destinata al boxeur meglio impostato – Benvenuti nel decennio successivo divenne un autentico idolo nel suo Paese, ma specialmente diventò un eroe e un simbolo di riscatto per tutti i profughi italiani che erano riparati nel Belpaese in fuga da Tito. Nino era infatti di Isola d’Istria, territorio italiano (oggi in Slovenia) passato alla Jugoslavia nei primi anni Cinquanta a seguito della ridefinizione dei confini scaturita dalla Seconda guerra mondiale. E, dunque, apparteneva a quella gente che, sbarcata in Italia, venne accolta davvero molto male, specie dalla sinistra, secondo la quale tutte quelle persone avrebbero invece dovuto restarsene dov’erano nate e cresciute, a godersi l’incommensurabile fortuna di vivere sotto una dittatura comunista.
Dopo i Giochi, Benvenuti conquistò dapprima la cintura mondiale dei superwelter, e poi, messo su qualche chilo, si portò a casa la corona continentale dei medi, categoria di cui – appunto nel ‘67, come dicevamo in apertura – divenne pure campione del mondo, titolo che fu in grado di difendere ben quattro volte, come nessun fighter era mai riuscito a fare in precedenza.
Pareva insomma non avere rivali, ma l’età che avanzava e l’ascesa di una formidabile macchina da pugni come Carlos Monzón riuscirono invece a detronizzarlo e a farlo saggiamente scendere dal ring nel maggio del ‘71, a Montecarlo, a 33 anni suonati. L’argentino, però, gliele aveva suonate di santa ragione già sei mesi prima, al Palazzo dello sport di Roma, in occasione di un match intenso all’inverosimile, incalzante fino a toglierti il fiato ancora oggi mentre te ne stai sul divano, con un paio di birrette fresche a portata di mano, a riguardartelo per intero o a spezzoni grazie a youtube, a oltre mezzo secolo di distanza.
Escopeta Monzón era nettamente superiore, sapeva incassare come nessun altro, e implacabilmente – un round dopo l’altro – finì per sgretolare con martellate di travertino la pur eroica resistenza opposta da Nino, fino a neutralizzarlo con quel destro mortifero alla mascella, portato nel corso della dodicesima e ultima ripresa, che gli spense la luce e gli tolse la corrente.
Quello che andò in scena fu uno spettacolo spietato e magnifico al contempo, a conferma che il pugilato, sport di innegabile violenza, è pure una straordinaria metafora della vita, che non è certo una stucchevole favoletta come ogni tanto qualcuno cerca di farci credere, ma una continua lotta dalla quale non si può uscire sempre vincitori, e che anzi prima o poi ti vedrà certamente soccombere, al pari di tutti i parenti e gli amici che ti è toccato veder andare al tappeto, uno dopo l’altro.
La boxe di grande livello, proprio come le opere d’arte ben riuscite, nella sua drammaticità è una delle più sincere e trasparenti forme di espressione mai sviluppate dalla scimmia leggermente evoluta che è l’essere umano. Peccato che, oggi, sia quasi del tutto scomparsa, e ciò che ne rimane è soltanto uno sbiadito ricordo del sublime spettacolo che fu un tempo, del quale Nino Benvenuti e tutti i suoi più nobili avversari – come Carlos Monzón ed Emile Griffith, ma anche come il toscano Sandro Mazzinghi, col quale riuscì a dividere l’Italia come avevano fatto vent’anni prima Fausto Coppi e Gino Bartali – furono magnifici e nobili protagonisti.