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L’inimitabile Dan Peterson, autentico numero uno

Intervista al celebre ex coach dell’Olimpia Milano, che a quasi novant’anni è sempre impegnato in molteplici campi, come del resto ha sempre fatto

In sintesi:
  • Grande allenatore, star televisiva, uomo immagine, team builder: sono davvero molte le attività svolte da Dan Peterson, che a quasi 90 anni è ancora sulla breccia
  • L’ex coach non risparmia critiche alla moderna Nba, lega in cui si abusa ad esempio del tiro da tre punti
  • Nel suo ultimo libro, dedicato alla storia dell’Olimpia Milano, Peterson dedica cento capitoli ad altrettanti personaggi che hanno fatto grande il basket, e dei quali oggi prova una grande nostalgia
31 maggio 2025
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Consulenze aziendali, premiazioni, clinic per allenatori di basket, presentazioni di libri, serate al Forum di Assago per seguire l’Olimpia Milano. A quasi 90 anni (classe 1936), Dan Peterson è sempre on the road, impegnato in un tour che non finisce mai, come fosse uno di quei musicisti country che tanto ama (passione condivisa, tra l’altro, con un’altra voce fondamentale della pallacanestro, Sergio Tavcar). Per Minerva è appena uscito il suo delizioso libro (Umberto Zapelloni il coautore) ‘La mia Olimpia in 100 storie + 1’. Di volumi Coach Peterson ne ha scritti a decine dagli anni Ottanta a oggi, quasi tutti gioiellini come quest’ultimo. Un giorno bisognerà raccogliere tutto il materiale per costruire una sua monumentale e definitiva biografia da oltre mille pagine. Peterson è più grande dello sport di cui è protagonista, in forme diverse, sin dagli anni Sessanta. Oltre ai numerosi successi conquistati malgrado si sia ritirato giovane dall’attività di allenatore (una Coppa dei Campioni, una Coppa Korac, tre Coppa Italia e cinque Scudetti forse), Dan ha inciso molto sulla cultura popolare italiana grazie al giornalismo, agli spot tv e, perché no, anche al wrestling.

Il primo capitolo de ‘La mia Olimpia in 100 storie + 1’ è dedicato a Giorgio Armani, e l’incipit recita: ‘Per me numero uno’, cioè uno dei marchi di fabbrica del coach...

Alfabeticamente – e non solo – lui è davvero il numero uno. È nella moda da cinquant’anni, il suo genio è quasi secolare.

Mentre il suo rapporto con la moda appare un po’ controverso...

A Bologna sono arrivato coi pantaloni a quadri che non arrivavano alle caviglie, in città tirano ancora fuori certe foto per prendermi in giro. Nel 2011 quando sono tornato a fare l’allenatore dopo tanti anni, Armani mi ha detto: Venga a prendersi il mio vestito. E così sono risultato presentabile. Mi sono adeguato: da buon americano, ho modestamente vestito all’italiana.

Possiamo dire che oggi non è più il cittadino dell’Illinois più famoso a vivere in Italia?

Papa Leone XV mi ha superato di gran misura. Lui è nato e cresciuto al sud di Chicago, io a Evanston, un sobborgo nel nord della città. Sono contento, sentire la sua voce in diretta televisiva mi ha fatto ricordare come parlano l’inglese i miei amici. Io sono protestante, ma mia moglie Laura è cattolica, tifiamo per lui, sperando abbia successo. Persona vera, ha fatto per quindici anni il missionario con il sorriso, è un uomo di grande sostanza, ha un comportamento da signore, ma è fatto di acciaio. Sì, io e Laura siamo molto felici. Prevost nel baseball è un tifoso dei White Sox, squadra del sud di Chicago, al nord ci sono invece i Cubs, per i quali tifo io.

I Cubs qualche settimana fa hanno vinto al Wrigley Field tre derby consecutivi in pochi giorni...

Sì, in casa nostra. Più avanti andremo nel loro stadio, il Guaranteed Rate Field, per tre altre partite. C’è una grande rivalità tra i due club. In quei giorni è apparsa una foto del pontefice col logo dei White Sox e una scritta dei tifosi dei Cubs che diceva: neanche un papa di Chicago vi potrà salvare. Anche mio fratello è tifoso dei Cubs, mentre abbiamo sorprendentemente scoperto, quando era già scomparso, che nostro padre era per i White Sox.

Baseball, Nba e tutti gli altri sport americani: come riesce a seguire il tutto dall’Italia?

Ogni giorno, il mattino presto, vado su Espn a leggere risultati e news e faccio un clic per vedere gli highlights che mi interessano. È facile, oggi più che mai. Seguo l’Nba, ma quest’anno i miei pronostici sono stati disastrosi perché pensavo a una finale tra Celtic e Lakers, quindi adesso sarebbe meglio se stessi zitto.

Dica pure ciò che pensa...

Non mi piace quando una squadra tira 60 volte da 3, per sbagliarne 45, come ho visto recentemente. Io trovavo più bello il basket degli anni 80 e 90. Magari i giovani di oggi pensano che l’Nba sia stata sempre così: invece no, è stata molto meglio di questa.

Alla Nba preferisce il campionato italiano e l’Eurolega?

I playoff in Italia mi stanno piacendo, l’Eurolega è più interessante dell’Nba per la qualità di gioco, anche se i giocatori migliori sono in America.

Nel suo ultimo libro lei risulta molto riconoscente verso tantissime persone con cui ha collaborato. Come mai questa necessità?

Io non sono stato esattamente un classico allenatore, il mio lavoro principale era creare un team, e allora dentro a quella squadra ci sono tutti: dal raccattapalle al presidente, passando per giocatori, general manager, lo speaker del palazzetto e tutto il resto. È nella mia natura: le cento storie del libro sono cento lettere di ringraziamento. Delle storie d’amore. Per tutto quello che gli altri hanno fatto per me. Alcuni purtroppo non ci sono più. Per esempio, della Banda Bassotti (la squadra dell’Olimpia del 1979, ndr) sono scomparsi Valentino Battisti e Paolo Friz. Sono cose che mi fanno male. Metà dei giocatori della Nazionale del Cile sono morti, mi fa impressione. Poi Bogoncelli, il cavalier Gabetti, Cesare Rubini...

Chi di questi le piacerebbe ritrovare, se fosse possibile, per assistere a una partita insieme?

Cesare Rubini, a cui ero molto legato. Lui veniva sempre alle nostre partite e io, da ex, ho poi fatto come lui, per incoraggiare squadra, allenatore e società. Rubini è stato megagalattico, probabilmente il personaggio più importante della storia sportiva d’Italia, questa è la mia opinione.

L’ala grande Cedric Henderson, arrivata a Milano nel 1985 dall’Università della Georgia, appare nel libro come una sorta di personaggio da romanzo...

Un lavoro di tutti, fatto da Cappellari, D’Antoni e gli altri compagni. Cedric arrivò come un ragazzo difficile e se ne andò come un ragazzo modello. Nell’ultima cena, dopo la vittoria quell’anno di scudetto e Coppa Italia, sembrava un attore, vestiva pantaloni bianchi e una polo rosa, era completamente diverso da come era arrivato in Italia. Mi si avvicina e mi fa: coach, volevo ringraziarla. Ma sono io che ringrazio te, Cedric! Era arrivato da selvaggio, un po’ maleducato, e in quei mesi è diventato un uomo. Per tutti noi una grande soddisfazione. Sarebbe andato agli Atlanta Hawks. Anche lui non c’è più dal 2023.

Un allenatore di basket quanto può essere determinante in una squadra, secondo lei?

Un allenatore fa quello che può nei limiti delle possibilità che una società concede.

In Svizzera sono tutti curiosi di sapere se Richard Street esiste davvero o è solo un personaggio letterario da lei inventato nelle telecronache...

Richard è stato un mio grande amico, ogni ragazzo dovrebbe crescere con vicino un compagno con una tale intelligenza di strada. Aveva un anno e mezzo più di me, anagraficamente, ma è come se io al tempo avessi avuto otto anni e lui ventinove, era anni luce avanti a tutti noi bambini. Era sveglio oltre la parola sveglio.

Lei lo ha citato spesso...

Già dal primo anno in cui ho iniziato a fare le telecronache in Italia. Era il 1981, e non sapevo che lui stesse morendo di cirrosi. Lo avrei scoperto qualche anno dopo, scrivendo a sua sorella Barbara, più grande di cinque anni, era la più bella del quartiere. Richard è scomparso, mi ha risposto. È stato come aver perso un fratello, sono rimasto molto male. Barbara – le dissi – sappi che Richard è stato onorato nelle mie telecronache! E ho poi continuato a nominarlo, anche nella newsletter che spedisco via mail ogni mattina.

Grazie coach, la lasciamo alle parole crociate...

Anche ieri Bartezzaghi mi ha spaccato la faccia, prima del sonnellino, appena dopo pranzo. La Settimana e il Mese Enigmistico sono miei grandi compagni di viaggio.