Nella notte fra sabato e domenica, con la sfida fra Al Ahly e Inter Miami, scatta negli Stati Uniti la Coppa del mondo per club, allargata a 32 squadre
Pur considerando tutte le perplessità e le inquietudini che aleggiano attorno all’edizione numero 1 di questo nuovo torneo mondiale per club – come ad esempio il sovraffollamento di un calendario stagionale ormai infinito, o le tensioni sociali che stanno infiammando le metropoli degli Stati Uniti (dove la competizione va in scena) – tutti noi appassionati di pallone dobbiamo ammettere di averlo atteso con crescente impazienza e parecchia curiosità. La kermesse, che ha come nonna la Coppa Intercontinentale e come padre il Mondiale per club riservato a una sola rappresentante per ogni Confederazione – manifestazioni che si disputavano tutti gli anni – è ora diventata un appuntamento a scadenza quadriennale ed è stata allargata addirittura a trentadue squadre. Il Vecchio continente – che dal 2007 in poi ha sempre vinto il trofeo tranne che in un paio di occasioni – sarà rappresentato da 12 compagini; 6 sono invece i club provenienti dal Sud America, 5 dal Centro e Nord America, 4 dall’Asia, altrettanti dall’Africa e 1 dall’Oceania. Una dozzina saranno gli stadi coinvolti – distribuiti in undici città – che per un mese, da domenica 15 giugno a domenica 13 luglio, vedranno esibirsi alcuni dei più grandi giocatori del pianeta.
All’inizio mal vista soprattutto dalle grandi società europee – che lamentavano premi troppo esigui per un torneo che andava soltanto a intasare un’agenda già fittissima e a mettere ulteriormente a rischio la salute dei giocatori –, la competizione, fortemente voluta dal presidente della Fifa Gianni Infantino (in carica dal 2016), ha infine ottenuto l’ok anche dai club più recalcitranti. E l’assenso è giunto per un solo motivo, e cioè i soldi: addirittura a un miliardo di dollari ammonta infatti il montepremi totale, tutti derivanti in pratica dal contratto per i diritti televisivi stipulato con Dazn, il cui maggior azionista è il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, vale a dire il Paese che organizzerà la Coppa del mondo per nazioni nel 2034 e che, dunque, ha tutto l’interesse a promuovere questo sport nel corso dei prossimi anni.
Testimonial principale del Mondiale in cartellone fra nove anni è un certo Lionel Messi, la più grande star del pallone, che dal 2023 milita nell’Inter di Miami, squadra che dunque in nessun modo avrebbe potuto mancare al Mondiale per club che sta per iniziare. In pratica, i sauditi hanno detto: ‘Senza Leo, non sganciamo neanche un dollaro’. E così, benché la franchigia della Florida non rispondesse ai criteri richiesti per prendervi parte, Infantino si è inventato un requisito ad hoc proprio per Messi e compagni. Mentre tutte le altre squadre hanno potuto staccare il biglietto in virtù dei loro risultati ottenuti nelle ultime stagioni nell’ambito delle competizioni internazionali, l’Inter Miami fa invece parte del novero solo grazie al fatto che, lo scorso anno, ha chiuso al primo posto la regular season del proprio campionato: il criterio di scelta, infatti, è stato comunicato dalla Fifa al mondo intero soltanto il giorno in cui il club ha avuto la certezza di aver conquistato quel (parziale) traguardo. Non sarà a ogni modo l’ennesima torbida manovra ordita dall’istanza presieduta dal 55enne vallesano (abbiamo visto di peggio) ad abbassare le nostre aspettative rispetto alla nuova competizione, giunta a riempire di football anche l’estate di un anno dispari, quando per tradizione non si erano mai disputate fasi finali di grandi manifestazioni pallonare, fatta ovviamente eccezione per il 2021, quando andò in scena l’Europeo 2020 rimandato per via del Covid.
Favorite per la conquista del nuovo trofeo – uno scintillante scudo che può assumere forma sferica commissionato nientemeno che a Tiffany – dovrebbero essere le formazioni europee (Paris Saint-Germain, Bayern, Real Madrid, Manchester City, tanto per fare qualche nome), le quali hanno vinto a mani basse ben quindici delle ultime diciassette edizioni. Le squadre sudamericane, infatti, che un tempo se la giocavano alla pari, ora faticano a tenere il passo, anche perché vengono regolarmente depredate dei loro migliori talenti proprio dai club del Vecchio continente. La speranza è che la formula allargata, e il fatto di giocare al di là dell’Atlantico, possa ridurre il gap e magari favorire il cammino delle compagini brasiliane e argentine – specie Palmeiras, Flamengo e River Plate – per una maggiore competitività che possa rendere più spettacolare ed equilibrato l’esito finale del torneo che si concluderà a metà del prossimo mese al MetLife Stadium di East Rutherford, New Jersey, a due passi da New York. Grande curiosità, da parte degli appassionati, viene però rivolta anche a tutte le altre partecipanti, rappresentanti di un calcio alle nostre latitudini ancora piuttosto sconosciuto e misterioso, malgrado al giorno d’oggi sia possibile – volendo – tenersi informati e seguire la maggior parte delle competizioni sparse nell’intero globo. Prepariamoci dunque, nel corso delle prossime settimane, a veder comparire al mattino colleghi con occhiaie imbarazzanti perché la notte, invece di dormire, sono restati svegli per ammirare formazioni forse mai sentite nominare e quasi certamente mai viste all’opera, magari Ulsan contro Mamelodi, oppure il Los Angeles che sfida l’Espérance o ancora Wyad al cospetto di Al-Ain.
Sono – queste ultime – tutte considerate ovviamente outsider, ma non per questo meno meritevoli di considerazione. Poi, si sa, se dovessero subire scoppole clamorose, sentiremo scatenarsi tutti coloro che si dichiarano contrari all’allargamento indiscriminato dei tornei, considerato soltanto un espediente per far girare più soldi e che nulla ha da spartire con la promozione del calcio più marginale. In ogni caso, se anche una di queste formazioni dovesse per ipotesi alzare il trofeo, non arriverebbe di certo a guadagnare la stessa cifra che incasserebbe – vincendo – un top club come il Real Madrid (ben 125 milioni). Perché – va bene l’occhio di riguardo per i ‘peones’ - ma la tanto declamata inclusività non trova poi riscontro quando si parla di palanche: ingaggi e premi saranno infatti distribuiti in base all’appeal, che ovviamente è assai diverso, ad esempio, fra Chelsea e Auckland City.