In Val Calanca, dove vince Onley, il francese perde la maglia gialla (ora sulle spalle di Vauquelin), mentre il lusitano guadagna ulteriore terreno
Il successo nella quinta tappa del Tour de Suisse, a Santa Maria in Val Calanca, è andato a Oscar Onley (Picnic PostNL), ma l'affare di giornata l'hanno fatto soprattutto Joao Almeida (Uae) – che ha tagliato il traguardo insieme al britannico, guadagnando ulteriore terreno in classifica – e il francese Kévin Vauquelin (Arkéa-B&B Hotels), quarto a 57" e nuovo leader della classifica generale al posto del suo connazionale Romain Grégoire (Groupama-Fdj), che ha vissuto invece una giornata davvero negativa. Vauquelin comanda ora la generale con 29 secondi su Julian Alaphilippe (francese della formazione elvetica Tudor) e 39 secondi sul già citato Almeida. Sarà dunque da questi tre nomi che, con ogni probabilità, uscirà il vincitore del Tour 2025.
«Joao oggi ha corso in modo maturo», ha detto il ticinese Mauro Gianetti, direttore della Uae e dunque anche di Almeida. «Più che alla vittoria di tappa, ha pensato alla classifica generale, anche se poi, alla fine, quasi riusciva a vincere lo stesso. Ora, benché fra Vauquelin e Almeida in mezzo ci sia anche Alaphilippe, la classifica generale possiamo ancora conquistarla. Certo non sarà facile, ma oggi in questo senso abbiamo fatto un ottimo lavoro. Le ultime tre tappe saranno davvero interessanti e molto combattute. Credo che decisivi saranno gli abbuoni distribuiti sul percorso venerdì e sabato, oltre alla crono conclusiva di domenica».
Decisiva si è rivelata la Route 26, magnifico serpentone (composto appunto da 26 tornanti) – nato due secoli fa per necessità primarie e che oggi dopo il rinnovo pare invece fatto apposta per le scampagnate sulle due ruote – che da Grono si arrampica fino a Castaneda e poi a Santa Maria, e che i corridori hanno dovuto affrontare per ben due volte. Come ci si attendeva, si è dimostrato un tratto severo (4,5 km al 10% di pendenza media) e capace di dinamitare, oltre alla classifica di giornata, anche quella generale.
Del resto, questa tappa regina prometteva bene già dalla vigilia, coi primi quattro della graduatoria racchiusi in meno di un minuto e il settimo – il grande favorito per la vittoria finale Joao Almeida – staccato di soli due minuti dal leader Romain Grégoire. Dopo aver accusato oltre tre minuti di ritardo nella tappa iniziale, il portoghese ha poi notevolmente recuperato nei giorni seguenti – specie mercoledì e appunto giovedì –, tornando come detto a ricandidarsi per la graduatoria generale.
Il Tour, che ultimamente si era mostrato molto generoso con la Svizzera italiana, quest'anno ha invece previsto alle nostre latitudini un solo appuntamento, ossia l'arrivo di ieri a Santa Maria, peraltro magistralmente organizzato dal comitato locale. Lo ha fatto in occasione del Corpus Domini, festa in cui un tempo si organizzavano le processioni. E proprio una lenta sfilata religiosa è sembrato il percorso che, da Sagno, ha condotto il cronista fino in Val Calanca, durato – a causa di incidenti e ordinario traffico ordinario – la bellezza (si fa per dire) di 140 minuti. Nell'intera storia del TdS (88 edizioni), in una sola altra occasione questa regione aveva ospitato la conclusione di una tappa: fu nel 1990, a San Bernardino, quando si impose Andrew Hampsten (l'americano di Vacallo), e quando il successo finale andò poi all'irlandese Sean Kelly.
Festa popolare per eccellenza, la Corsa nazionale ha suscitato interesse ed entusiasmo nell'intero comprensorio, e già a Grono, sul piano, sostando per un provvidenziale caffè che avrebbe cancellato scorie e nervi accumulati in colonna sulla A2, si notava un bel fermento, con la gente che – anche grazie alla magnifica giornata – gremiva strade e ritrovi pubblici. Una volta giunti a Santa Maria, entusiasmo e partecipazione erano addirittura alle stelle – grazie a punti di ristoro e animazioni varie – benché all'arrivo dei corridori mancassero ancora diverse ore. Ma il ciclismo, si sa, è molto più di quel che succede in strada e in sella: è amicizia, convivialità e opportunità di scoperta delle bellezze offerte dal territorio, fra cui la magnifica Torre medievale di Santa Maria – alta almeno una ventina di metri – di cui consigliamo la visita a tutti, tranne ovviamente a chi soffre di vertigini.
Una scultura in memoria e in onore di Gino Mäder, morto ventiseienne proprio sulle strade del Tour due anni fa, è stata posata in mattinata sul Passo dell'Albula, teatro del fatale incidente. Circa 150 ciclisti amateur si sono radunati, in presenza dei familiari dello sfortunato campione, sul luogo della tragedia, in una curva a sinistra della discesa verso La Punt (località dove poi è partita la tappa di ieri), punto in cui fra l'altro nel frattempo è stato realizzato un terrapieno che dovrebbe evitare incidenti simili in futuro.
Presente, al toccante momento durato una ventina di minuti, anche la Direzione della corsa, oltre a diversi corridori e dirigenti. Dopo un breve discorso tenuto da Christian Rocha – ex collaboratore di Swiss Cycling – il Ct elvetico Michael Schär e Marc Hirschi, che a Mäder erano molto legati, hanno svelato l'opera d'arte, realizzata da Gügi Eugster, zio di Gino e rinomato scultore della Svizzera orientale. Intitolata ‘Essere legati’, la scultura – finanziata dal sindacato dei corridori e composta da due tipi di granito della regione – ricorda che ogni cosa, anche la vita e la morte, è in qualche modo legata.
Alcune piccole pietre recanti brevi messaggi sono state poi posate alla base del manufatto – a significare che il ricordo della vittima non si spegnerà mai – insieme a una maglia della Bahrain-Victorious, la squadra di cui il sangallese difendeva i colori. Infine, i familiari hanno voluto ricordare l'impegno di Gino nella protezione della natura e dell'ambiente, invitando tutti i presenti a unirsi a ‘rideforGino’ affinché queste attività di salvaguardia possano ricevere gli aiuti necessari per poter continuare a essere svolte.
«L'incidente occorso a Gino è qualcosa che nessuno di noi dimenticherà mai», ha detto commosso Stefan Küng, pure lui sangallese e atleta della Groupama-Fdj, aggiungendo che un luogo in cui ricordare il collega scomparso – e tutti gli altri ciclisti morti sulle strade – «era davvero necessario».