Chiacchierata con Connor Carrick, uno dei volti nuovi del Lugano versione 2025/26. ‘La filosofia di Steinmann? Mi piace, la sposo appieno’
Lugano – Davanti a sé ha una pagina immacolata. Un nuovo capitolo che comincia, inedito. Se Connor Carrick al termine della stagione 2024/25 ha deciso di uscire dalla sua routine è perché a un certo punto della sua carriera quella vocina che se ne stava lì in un angolo della sua testa è cresciuta di tono, diventando impossibile da ignorare. Così, dopo una dozzina di stagioni spese sulle piste di American e National Hockey League, il 31enne difensore dell’Illinois ha deciso di cambiare aria e... versante dell’oceano Atlantico, per sbarcare nel massimo campionato svizzero, sponda Lugano. È infatti lui uno dei volti nuovi che vestiranno la maglia bianconera dalla prossima stagione. «In Nordamerica ho giocato parecchie stagioni, e posso essere fiero di come sono andate le cose in questi anni – racconta il possente difensore statunitense, di passaggio alla Cornèr Arena per sbrigare alcune formalità. Ho cominciato a giocare a hockey con un obiettivo fisso davanti a me, condiviso con molti altri giovani che cercano di sfondare in questo sport: quello di poter calcare, un giorno, la scena della National Hockey League. E io ce l’ho fatta». Collezionando un totale di 248 presenze su questa ribalta che gli hanno permesso di contabilizzare 13 reti e 37 assist.
Draftato dai Washington Capitals nel 2012 (al quinto turno), ha fatto il suo esordio nel campionato più prestigioso al mondo in una stagione 2013/14 che l’ha pure visto indossare la maglia a stelle e strisce in occasione dei Mondiali U20. Successivamente, sulla scena della Nhl, Connor Carrick ha vestito le maglie di Toronto Maple Leafs, Dallas Stars e New Jersey Devils. Nelle ultime quattro stagioni ha invece calcato la ribalta della Ahl, con Charlotte Checkers, Providence Bruins (giocando pure una partita in Nhl con i Boston Bruins), Coachella Valley Firebirds e, da ultimo, Bakersfield Condors (con cui ha chiuso la stagione 2024/25 con un bottino personale di 41 punti, di cui 18 reti, in 63 partite).
Cosa porta Connor Carrick da questa parte dell’oceano? «A un certo punto arriva il momento in cui sei eccitato dalla prospettiva di uscire da quella che è ormai diventata una comfort zone per avventurarti in qualcosa di nuovo. È una questione di priorità: negli anni passati ero focalizzato sui campionati nordamericani, e l’idea di giocare in Europa non mi aveva mai sfiorato. Poi, appunto, ho cambiato il modo di vedere le cose, così la scorsa stagione ho allargato il mio orizzonte: mi sentivo pronto, io e la mia famiglia (Connor è padre di un figlioletto, ndr). Quando ho avuto un primo colloquio con Janick Steinmann sono rimasto molto colpito dalla sua voglia di costruire una squadra affiatata. Che si vinca o si perda, nella sua filosofia la cosa essenziale è che il gruppo resti compatto. È da parecchi anni che gioco e questo modo di vedere le cose lo sposo appieno. Così come le sue aspettative in termini di prestazione e di impegno. Insomma, tutti indizi che mi hanno persuaso che la proposta del Lugano fosse la sfida giusta, nonché la soluzione ideale per me e la mia famiglia. Benché Bakersfield, dove avevamo vissuto la scorsa stagione, ci sia piaciuta per molte cose, era tempo e modo di sperimentare qualcosa di nuovo, di inedito».
Eccolo dunque catapultato in una realtà, quella del campionato svizzero, praticamente tutta da scoprire: «Sì, ammetto di non conoscere granché del campionato svizzero e delle particolarità delle singole squadre che lo compongono. Avrò sicuramente modo di familiarizzare con tutti questi dettagli più in là nella fase di avvicinamento al nuovo campionato. Ora come ora sono assorbito da altre priorità di natura organizzativa, come il trasloco mio e del resto della famiglia e la prima presa di contatto con il tessuto sociale di questa nuova realtà. Al di là di tutto, è pur sempre un grande cambiamento per tutti noi. Ma lo è anche per la squadra, che si ritrova con un nuovo staff tecnico, un nuovo General Manager e un roster ampiamente mutato rispetto alla stagione precedente. Per questo la seconda parte della preparazione, sul ghiaccio, è importantissima per affinare i meccanismi e le dinamiche di squadra. Ci permetterà anche di capire quali siano i nostri punti di forza e quali invece i nostri punti deboli, su cui occorrerà insistere per fare un ulteriore passo avanti».
A proposito di novità e cambiamenti, Steinmann fin da subito ha messo l’accento sulla cultura del lavoro e sulla mentalità del gruppo, che deve giocare prima di tutto per la causa comune anziché i punti in palio, puntando su alcuni potenziali leader nello spogliatoio. Si sente pronto Connor Carrick a vestire i panni di uno di questi ultimi? «A livello pratico, so che sul ghiaccio posso contribuire portando tanta energia. Nello spogliatoio, invece, mi reputo un tipo divertente. Per individuare i potenziali leader di un gruppo ci vuole però tempo: cercare di farlo fin da subito sarebbe di pessimo gusto. Prima di tutto è necessario conoscerci reciprocamente».
Quello del difensore d’importazione, in Svizzera e in particolare a Lugano, è un ruolo cruciale. Che non tutti hanno saputo interpretare come da aspettativa: si sente questa pressione? «A essere sincero no. Cioè, io sono il tipo di giocatore che prende con la massima serietà e impegnandosi a fondo ogni partita. Per cui sono io il primo a caricarmi di pressione, e francamente non so se quella esterna sia altrettanto intensa. Mi reputo un buon giocatore di hockey, e mi aspetto di dimostrarlo sul ghiaccio. Da quanto mi hanno detto, anche i tifosi qui sono ‘caldi’ e vivono con passione questo sport. Ma questo non mi spaventa: nel mio trascorso in Nhl ho anche giocato per i Toronto Maple Leafs, squadra attorno alla quale la pressione dei tifosi e mediatica si fa parecchio sentire, ragion per cui sotto questo aspetto mi posso ritenere già allenato».
Se quella delle singole squadre che compongono il campionato svizzero sarà una realtà tutta da scoprire, diverso invece è il discorso della Nazionale rossocrociata, che ai recenti Mondali ha messo al collo la medaglia d’argento perdendo la finale proprio contro gli Stati Uniti: «Complice il fatto che la Nhl non si ferma, i Mondiali passano un po’ in secondo piano negli Stati Uniti. A togliere ulteriore appeal a questa ribalta è anche il fatto che quando il torneo si gioca in Europa, da noi è tarda notte, o un orario comunque inusuale per una partita di hockey... E quando invece capitano partite di sera, qui gran parte dell’attenzione è catalizzata dai playoff di Nhl... In più, quest’anno io avevo anche da organizzate il trasloco in Europa, e assieme alla mia famiglia ho trascorso le scorse settimane a riempire le scatole con le nostre cose...».