È atteso per oggi il verdetto del procedimento che vede alla sbarra un quintetto di giocatori canadesi. Fra cui l'ex biancoblù Formenton
È attesa per giovedì la sentenza del processo per violenza sessuale a carico di cinque giocatori di hockey canadesi, per fatti avvenuti a margine dei Mondiali U20. Vicenda nella quale è implicato anche l’ex accattante dell’Ambrì Piotta Alex Formenton (nel frattempo ritiratosi). Questo procedimento giudiziario ha puntato i riflettori sulla definizione di consenso e sulla cultura tossica che regna nell’hockey oltre Atlantico.
In uno dei casi più seguiti della storia recente del Canada, a seguito delle accuse di una donna per i fatti risalenti al 2018, gli ex giocatori di Nhl Carter Hart, Dillon Dube, Michael McLeod, Cal Foote e l’ex biancoblù erano stati formalmente accusati. All’inizio del procedimento, che si è svolto a London, nella provincia dell’Ontario, il quintetto si era tuttavia dichiarato non colpevole.
L’accusatrice, la cui identità è protetta e che all’epoca aveva 20 anni, ha spiegato di aver incontrato i giocatori in un bar e di essere andata con uno di loro nella sua stanza d’albergo, dove i due hanno avuto rapporti sessuali consensuali. Ma, a sua insaputa, il giocatore ha poi inviato un messaggio a un gruppo di chat, chiedendo ai suoi compagni di squadra se qualcuno fosse interessato a un "rapporto a tre”.
I giocatori hanno confermato di aver partecipato a vari atti sessuali con la denunciante, ma dopo una prima indagine, il caso era stato chiuso nel 2019. Salvo poi essere riaperto dopo che nel 2022 alcuni articoli di stampa avevano fatto parecchio ‘rumore’ in tutto il Paese, rivelando che la Federhockey canadese aveva trovato un modo discreto un accordo con la denunciante. La Federazione era allora stata accusata di aver cercato di insabbiare la vicenda e il suo presidente era stato costretto a dimettersi. Il capo della polizia di London si era poi pubblicamente scusato con l’accusatrice.
Melanie Randall, docente di diritto alla Western University, ritiene che l’ispettore della prima indagine, poi chiusa, avesse una «fissazione inappropriata» per il consumo di alcol della donna. Ha aggiunto che non è stato preso in considerazione l’attuale concetto di consenso, che era all’origine del processo. Questo concetto definisce che «il consenso non può essere dato in anticipo e non può essere dato retroattivamente», ha sottolineato, considerando che si tratta di un «cambiamento significativo nella legge canadese».
Al centro del processo ci sono i video girati dai giocatori, in cui la donna sostiene di essere d’accordo con ciò che poi è accaduto quella notte. Tuttavia, gli inquirenti ritengono che i video dimostrino che il rapporto non era consensuale. Tali video sono una pratica comune tra gli atleti professionisti, ha testimoniato un giocatore. Ma l’idea di filmare qualcuno dopo il fatto è «completamente in disaccordo con il modo in cui il consenso è definito (nella legge canadese)», insiste Melanie Randall.
In una decisione storica del 1999, la Corte Suprema del Canada aveva vietato agli avvocati difensori di utilizzare una tattica nota come “attacco alla vittima” nei casi di violenza sessuale. Secondo gli esperti, questa consisteva nel sottoporre le vittime a un intenso controinterrogatorio per screditarli sulla base di stereotipi obsoleti. Da allora, è vietato menzionare il passato sessuale delle vittime, il loro presunto comportamento promiscuo o chiedere loro perché non hanno opposto resistenza.
Per Melanie Randall, nel caso in questione, gli avvocati della difesa hanno usato questa strategia «in modo palese e ovvio», citando «nove giorni di brutale controinterrogatorio».
Alcuni commentatori hanno respinto l’idea che questo caso evidenzi problemi più ampi nella cultura dell’hockey canadese, sostenendo che lo sport rimane una forza positiva per centinaia di migliaia di giovani canadesi. Ma «sarebbe problematico dire che questi cinque uomini sono pecore nere e che non c’è nulla di sistemico», afferma Simon Darnell, professore all’Università di Toronto. «I giovani giocatori di hockey d’élite crescono in un ambiente in cui viene detto loro implicitamente ed esplicitamente che sono molto importanti». Potrebbero avere «l’impressione che la conquista sessuale sia qualcosa che è loro dovuta in quanto giocatori di hockey», aggiunge, chiedendo maggiori sforzi per promuovere una cultura sportiva che enfatizzi «una forma positiva di mascolinità».