Degradato la scorsa estate perché ritenuto ormai inutile alla causa della Nazionale, Yann Sommer sta paradossalmente disputando la sua miglior stagione
La paternità dell’impresa compiuta martedì sera dall’Inter – riuscita a qualificarsi per la finale di Champions League malgrado a pochi secondi dal termine del match di ritorno col Barcellona fosse praticamente eliminata in virtù del 2-3 a favore dei catalani – va certo condivisa fra tutti i protagonisti della prodigiosa rimonta operata in extremis dai lombardi. Ma è innegabile che gran parte del merito di un exploit destinato a restare inciso nel granito della storia pallonara sia da attribuire allo strepitoso Yann Sommer.
E non lo diciamo soltanto per amor di patria – l’eroe in questione è infatti come tutti sanno cittadino svizzero –, ma lo affermiamo perché, semplicemente, il nativo di Morges è stato di gran lunga il migliore in campo. E, fidatevi, non capita praticamente mai che un estremo difensore venga premiato come man of the match al termine di una contesa che lo ha visto subire la bellezza di tre reti. Ma lui ci è riuscito ugualmente, ed è successo perché, senza le sue prodezze, i nerazzurri l’altra sera di gol ne avrebbero incassati addirittura sei o sette, garantito.
Gli interventi mirabolanti sfoderati a San Siro dal guardameta elvetico al cospetto del Barcellona, ma soprattutto di Lamine Yamal – oggi senz’altro il più forte giocatore di calcio al mondo a dispetto dei suoi diciott’anni ancora da compiere – sono stati un trattato paradigmatico dell’essenza stessa del ruolo di portiere.
Per arginare la gragnuola di attacchi sferrati dal giovane fenomeno e dai suoi sodali, infatti, Sommer ha dovuto dar fondo all’intera gamma di figure a disposizione di chi – per istinto, per vocazione o per masochismo – sceglie di abbracciare il più ingrato dei ruoli del football e finisce per diventarne, in procinto di soffiare su 37 candeline, uno dei massimi interpreti, quantomeno relativamente alla propria epoca, che ha condiviso con mostri sacri del calibro di Buffon, Casillas, Neuer e Courtois, giusto per citarne alcuni, e al fianco dei quali davvero non sfigura poi troppo.
L’unica differenza fra Yann e costoro? Lui, malauguratamente, ha avuto una maturazione un po’ lenta, ed è purtroppo sprovvisto di quei 5-8 centimetri di statura che ai tecnici hanno spesso fatto storcere il naso, e che a sé stesso hanno sempre fatto sospettare di non essere davvero all’altezza dei migliori. Senza questo genere di zavorre, c’è da scommettere, la carriera di Sommer – sia nei club sia con la Nazionale rossocrociata – sarebbe stata ancor più gloriosa. Ai top club come Bayern Monaco e Inter, per dire, sarebbe approdato con notevole anticipo rispetto a quanto poi avvenuto. Fosse successo, la sua personale bacheca, oggi, sarebbe stipata tanto da deflagrare.
Sul finire della scorsa estate, quando annunciò che avrebbe abbandonato la Nazionale dopo che il selezionatore Murat Yakin – ritenendolo ormai rottamabile – gli aveva scelleratamente strappato galloni e mostrine per consegnarli al suo collega Gregor Kobel, in prima pagina avevo elogiato Sommer per l’eleganza e l’assenza della benché minima polemica con cui aveva accettato l’avvicendamento fra i pali. Celiando, l’avevo definita la migliore uscita della sua lunga e invidiabile carriera, proprio perché nelle uscite – specie quelle alte – Yann aveva sempre palesato il suo unico, e più che tollerabile, difetto. E avevo chiuso il pezzo azzardando che, fra tutti i senatori in procinto di lasciare la casacca elvetica, quello più rimpianto e più difficile da sostituire – pur non volendone a Kobel che ne stava ereditando il cadreghino – sarebbe stato proprio il divino Sommer.
Ora, si sa che veder confermate le proprie previsioni suscita sempre un certo piacere, ma in questo caso – sinceramente – avrei preferito sbagliarmi di grosso, come sciaguratamente sempre mi succede compilando la schedina del lotto. Perché Yann, infatti, sta disputando – da prepensionato – la sua miglior stagione. Mentre il povero Kobel, fra i pali del Borussia Dortmund – ma soprattutto in Nazionale, dove da tempo scalpitava insofferente per poter finalmente palesare le proprie virtù – invece di avanzare si è mosso secondo l’incedere del gambero.