Nel Paese delle iperboli e dei paradossi, il mondo del pallone non poteva certo fare eccezione
L’Italia, non sto certo rivelando l’arcano, è il Paese delle iperboli e degli estremi, in cui il paradosso è lingua franca e l’ossimoro è cifra stilistica. Non a caso, è al contempo culla del melodramma e della moderna commedia, e i suoi abitanti sono maestri nel far convivere – in perfetta armonia – concetti e contesti che, d’acchito, parrebbero del tutto incompatibili. Nel Belpaese – dove, a scanso di equivoci, subito premetto di avere parenti e amici – a questa endemica schizofrenia non può sottrarsi nemmeno il calcio, culto laico che permea il quotidiano come in pochi altri luoghi al mondo.
Inconfutabile riprova ne abbiamo avuto lo scorso weekend in occasione della sconfitta senza appello subita dagli azzurri contro la Norvegia nella loro prima gara di qualificazione ai Mondiali, preceduta di qualche giorno dall’umiliante batosta rimediata dall’Inter nella finale di Champions League per mano del Paris Saint-Germain e – di poche ore – dalla renitenza alla leva di Acerbi, che aveva rifiutato la convocazione in Nazionale. Episodi che ci hanno consentito di assistere a pezzi di teatro davvero strepitosi, degni dei più acclamati mattatori e inscenati da infiniti interpreti, partendo dagli addetti ai lavori per giungere a politici, prelati, militari e soubrette, tutti convinti di vantare carte in regola per poter esprimere pertinenti opinioni in merito.
L’Inter ad esempio – che dalla stampa era stata scortata alla finale di Monaco fra proclami di vittoria certa – veniva dipinta come un gremio di fuoriclasse tutti meritevoli del Pallone d’oro che non dovevano fare altro – insieme al loro visionario e predestinato allenatore – che alzare un trofeo che spettava loro per diritto divino, salvo poi invertire bruscamente la rotta dopo la severa lezione impartita ai lombardi dai francesi: a quel punto, infatti, dalle stesse colonne che fin lì avevano sprecato i peana, i nerazzurri sono stati tratteggiati come vecchi brocchi pessimamente gestiti da un tecnico presuntuoso e perdente per natura.
Acerbi invece – che crede ai giornalisti solo quando, strafatti, lo paragonano a Beckenbauer (e mai quando invece più realisticamente lo definiscono un randellatore col vizio dell’insulto a sfondo razziale) – uscito annichilito dalla sfida al Psg si è come detto negato alla chiamata in azzurro, sentendosi offeso perché di recente era stato trascurato, oh por nan, dal selezionatore italico.
E proprio riferito a Luciano Spalletti è l’altro clamoroso esempio di dissociazione psicotica che ci ha offerto la cronaca pallonara italiana nelle ultimissime ore. Vincitore del campionato italiano alla guida del Napoli due anni fa, al tecnico toscano era stata affidata la panca azzurra in sostituzione del transfuga Mancini. Invece di silurarlo dopo il fallimentare Europeo della scorsa estate, i dirigenti federali gli avevano scelleratamente rinnovato la fiducia, assai mal riposta: ha disputato infatti una Nations League vergognosa, di cui si ricorda soltanto la rete subita dalla Germania in cui i difensori azzurri, sotto mescalina, si davano il cinque e chiacchieravano in mezzo all’area dando le spalle al pallone, che i tedeschi provvedevano a spedire alle spalle di Donnarumma.
Il suo licenziamento è poi giunto venerdì sera, dopo lo 0-3 subito in Norvegia che rende verosimile una terza mancata qualificazione ai Mondiali consecutiva per gli azzurri, ormai finiti da un pezzo ai margini del calcio che conta. Il vero capolavoro – l’autentica pennellata à l’italienne – sta però nel fatto che ieri sera, benché già ufficialmente sollevato dall’incarico, Spalletti si è ancora seduto sulla panca italiana a Reggio Emilia, in occasione del modesto 2-0 sulla Moldova. Du jamais vu.
Per la sua successione, gli italiani ora invocano l’emergente (!) 74enne Claudio Ranieri: del resto non c’è da stupirsi, visto che nella vicina penisola in questi giorni il nome più gettonato per la poltrona di presidente del Comitato olimpico nazionale è quello di Franco Carraro – lugubremente definito l’uomo della provvidenza, come per Mussolini 100 anni fa – che di giri intorno al sole ne ha già completati... 85.