Incontri

Interno familiare. Oltre la norma e i suoi pregiudizi

Yaël Femminis ha due mamme e dice: ‘Nonostante si navighi nel Ventunesimo secolo, è ancora necessario normalizzare una famiglia come la mia’

(© Y. Femminis)
29 giugno 2025
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Nata il 4 febbraio 2008, Yaël ha due mamme: Doris (originaria della Val Bavona) e Barbara (cresciuta tra la Svizzera tedesca e quella francese). Yaël è nata e cresciuta a Ginevra e da qualche anno vive con la famiglia – fratello minore Yohann compreso – nelle campagne della Vallée de Joux (valle immersa in un paesaggio naturale incontaminato nel Giura vodese). Frequenta la 2a Liceo con indirizzo musicale ed è naturalmente equipaggiata per amare la musica in tutte le sue declinazioni, soprattutto per il messaggio che può essere trasmesso attraverso le sue frequenze. Per lei la musica è molto istinto e poche regole. Si immagina una formazione che orbiti intorno alla fotografia o alla cinematografia, ma pure il giornalismo non convenzionale le solletica la curiosità. Non le piace il freddo e sogna di viaggiare per il Sud del mondo e scoprire nuove culture a bordo di un “furgonello” che le faccia anche da casa.

Normalizzare è una parola all’apparenza sterile, razionale, un verbo transitivo che sembra non dare la possibilità agli esseri umani, ai pensieri, ai sogni e conseguentemente alla società di evolvere, di abbandonare ciò che è superfluo per spiccare il volo verso un’esistenza più consapevole e lontana da inutili gabbie mentali avviluppate su loro stesse. La normalità è la qualità di ciò che è normale, cioè conforme a uno standard, una regola, a ciò che è comunemente accettato o considerato usuale in un determinato contesto.

Quando ho chiesto a Yaël quale messaggio desiderasse veicolare attraverso la sua testimonianza mi ha piacevolmente sorpresa il suo essere diretta, semplice e soprattutto è riuscita ad andare oltre alle apparenze: “Secondo me tante persone credono che in una famiglia LGBTQ+ ci siano sfumature diaboliche appartenenti a sette che fanno cose orribili. Per me è importante far comprendere a chi vuole sapere che una famiglia come la mia è normale, come una realtà omogenitoriale, eterogenitoriale, monoparentale o adottiva”. Yaël ha un delizioso accento francese quando parla, ma ciò che mi colpisce di più è la sua adultità nell’esprimere le sue idee: “Nonostante si navighi nel Ventunesimo secolo, oggi è ancora necessario normalizzare una famiglia come la mia. Bisogna far capire a chi vive nel pregiudizio e nella paura che non c’è l’intenzione di cambiare i codici tradizionali o sradicare altri ‘credo’”.

Diversa da chi?

“Ho sempre saputo di avere due mamme, ma non ho mai sentito di essere diversa dagli altri per questo motivo. Fin da piccola per me è stato tutto chiaro e non l’ho mai vissuto come un problema. Ero felice, ho avuto la fortuna di crescere nell’amore. La gente lo percepiva e mai nessuno mi ha detto qualcosa di negativo o che mi ha ferita”. Yaël aggiunge sorridendo per rassicurare i più diffidenti: “Non sono mai andata a scuola improvvisando dei balletti di pole dance in classe e non ho mai mostrato atteggiamenti sopra le righe”.

Domande

La famiglia è un posto in cui le anime vengono a contatto tra loro. Queste sono parole del Buddha, che riassumono squisitamente ciò che può avvenire quando c’è l’armonia tra persone che si vogliono bene incondizionatamente e che formano un nucleo familiare. “Non mi è mai mancato nulla. Certo, mi sono fatta delle domande in certi momenti della mia crescita, ma non ho mai avuto il bisogno di cercare un padre o un nuovo genitore. Le mie mamme mi bastano. In questo momento di vita sono però a ‘caccia’ di un’identità perché il donatore che mi ha permesso di essere qui oggi, è anonimo. Ho delle domande, ovvio, ma non ho bisogno di risposte per quel che riguarda il legame con le mie mamme”.

Inquietudine

Nella ricerca alla scoperta della propria identità è forse saggio svestirsi di strati che stringono non solo il proprio essere, ma anche la propria visione, il proprio sentire. Oggi uno dei mali più comuni è avere il cuore chiuso, stare sulle difensive, fomentare la paura e mantenere la percezione basata su dogmi, polarità che continuano a scontrarsi e a creare lontananza. Yaël deve ancora compiere 18 anni, è ai piedi della scala della vita, ma c’è qualcosa che le fa più paura su tutto? “Non direi che ho paura, sono cosciente dell’epoca in cui stiamo vivendo. Le guerre purtroppo ci sono sempre state. Parlerei più di inquietudine. Per esempio mi inquieta meno la guerra rispetto alla reazione dell’umanità verso la guerra”.

Mamme al quadrato

Si dice che i papà siano più permissivi, faciloni… ma, quindi, essere figlia di Doris e Barbara significa vivere su una corda in equilibrio come un funambolo? “Avere due mamme è simile ad avere un papà e una mamma. Le reazioni sono complementari e diverse sulla falsariga di genitori eterosessuali. Ho una mamma svizzero-tedesca più ‘rigida e bacchettona’ e la mamma svizzero-italiana che in generale è più ‘scialla’, ma, quando c’è un vero problema, esce fuori la drama queen che è in lei”. Yaël sintetizza smentendo lo stereotipo che avere due mamme o due papà significa avere il genitore dello stesso genere al quadrato.

C’è da fare…

Il 28 giugno è la giornata mondiale dell’orgoglio LGBTQ+. In molti angoli di mondo sono stati conquistati, non senza fatica, tanti diritti. Secondo Yaël ça suffit? “Se penso alla Svizzera, non è perché oggi le persone omosessuali si possono sposare che la società accetti di default questo nuovo paradigma.

Affinché la società si trasformi ci vogliono più informazione e sensibilizzazione. La discriminazione è sottile, l’omofobia esiste anche se non viene espressa a parole. In alcune nazioni europee si sta tornando verso il fascismo e se guardiamo al resto del mondo spesso le situazioni sono aberranti e si parla ancora di pene di morte per chi è omosessuale o diverso da canoni prestabiliti. Non va tutto bene, c’è ancora molto da fare”.


© Y. Femminis