Eccoci in Thailandia, su piccole barche, dove saperi e gesti antichi si perpetuano nonostante il cambiamento climatico e la conseguente penuria di pesci
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
A circa 200 km da Bangkok, nel golfo della Thailandia, c’è questa piccola isola, lunga 7 km e larga 4, dove, su piccole barche, saperi e gesti antichi si perpetuano giorno dopo giorno nel tentativo di portare a casa un buon pescato. Una tradizione messa a rischio dai cambiamenti del clima: l’acqua si fa più calda, i coralli muoiono e gli ecosistemi cambiano. In questa tragica trasformazione dei fondali i pesci scappano in cerca di condizioni migliori e chi vive di pesca fatica a tirare avanti.
© Fabio Polese
«Sei pronto? Vediamo come va oggi», mi dice Samlan, 67 anni, mentre prepara le ultime cose da caricare in barca. Controlla le reti, sistema un secchio vuoto, poi sale a bordo. Il rombo del motore rompe il silenzio dell’alba, mentre ci allontaniamo lentamente dalla costa. Davanti a noi il mare è piatto, limpido. E il cielo inizia a cambiare colore, regalandoci un panorama unico.
L’uomo sistema le reti con gesti automatici. Li ha imparati da ragazzo, uscendo in mare con suo padre. «Sono nato e cresciuto qua e ho pescato per tutta la vita», racconta, con gli occhi fissi sull’acqua. «Una volta si pescava molto. Ora spesso torniamo a mani vuote. Il mare non è più quello di prima».
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Nelle acque intorno a Koh Samet, una piccola isola nel golfo della Thailandia, a pochi chilometri da Rayong, i pescatori come Samlan stanno affrontando giorni difficili. Il paesaggio resta intatto, almeno all’apparenza. Ma sotto la superficie, tutto è cambiato. C’è meno pesce, le stagioni non seguono più un ritmo preciso e le correnti cambiano senza preavviso. Chi vive di pesca – come accade da generazioni qua – fatica a vedere un futuro.
Negli ultimi mesi, le temperature dell’acqua nel golfo orientale della Thailandia hanno superato i 32 gradi. I coralli, un tempo vivi e colorati, si stanno sbiancando. A pochi metri di profondità, il fondale è diventato pallido. Un segnale chiaro che qualcosa non funziona. «Quasi tutte le specie di coralli si sono sbiancate. Sono pochissime quelle che non sono state colpite», ha spiegato Lalita Putchim, biologa del Dipartimento delle Risorse Marine e Costiere, dopo un’immersione lungo la costa. Secondo le stime, una parte significativa della barriera corallina è già compromessa. «Se la temperatura dell’acqua non si abbassa, moriranno più coralli», ha aggiunto.
Quando il fondale si svuota, i pesci si spostano. Alcune specie migrano verso acque più profonde e fresche, rendendo la pesca costiera sempre più imprevedibile. Questo cambiamento costringe i pescatori locali a percorrere distanze maggiori e a trascorrere più tempo in mare, aumentando i costi e i rischi associati alla loro attività. Alcuni continuano a uscire ogni mattina, nella speranza che qualcosa torni come prima. Altri, invece, iniziano a lavorare per i turisti: escursioni in barca, snorkeling e giri panoramici verso le spiagge più isolate.
Restiamo in mare per ore, alternando reti e canne da pesca. I movimenti sono sempre gli stessi, lenti, ripetuti. A bordo Samlan mi guarda e accenna un sorriso, poi si accende una sigaretta nell’attesa. «La corrente non è buona», sussurra. «Fino a qualche anno fa, con questo cielo e questa calma, si tornava sempre con un buon numero di pesci», spiega.
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Intorno a noi, altre barche si muovono lentamente. Alcune puntano verso la riva, altre provano più al largo. Tutti cercano. Da una barca all’altra, parliamo con altri pescatori, qualcosa hanno preso, ma niente di entusiasmante. Quando rientriamo, il pesce raccolto non riempie nemmeno la metà del secchio. «Ci faremo una grigliata stasera!», dice ridendo Tam, 46 anni, il figlio di Samlan, mentre aiuta il padre a sistemare l’attrezzatura. Con lui uscirò di nuovo a pesca qualche giorno dopo, con gli stessi risultati. Durante la navigazione, Tam si mostra più loquace del padre. Parla del mare, della pesca, ma anche di altro. «Mio nonno diceva che alcune zone dell’isola sono protette. Che se non rispetti certe cose, il mare si chiude», racconta, mentre osserva il filo della lenza.
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A Koh Samet, così come in gran parte del Sud-est asiatico, le credenze fanno ancora parte della vita quotidiana. Lungo la spiaggia di Hat Sai Kaew, una statua raffigura Phra Aphai Mani, il principe leggendario con il suo flauto, accanto a una sirena. «Da bambini ci portavano lì. Ci dicevano che la sirena protegge i pescatori buoni. Che se il mare è calmo, è perché lei ti ha visto», mi dice Tam, mentre guarda l’orizzonte, come se stesse aspettando un segnale.
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La storia di Phra Aphai Mani è diventata parte dell’immaginario collettivo dell’isola. È stata scritta tra il 1822 e il 1844 da Sunthorn Phu, uno dei più importanti poeti della Thailandia, oggi riconosciuto a livello nazionale come maestro della narrativa epica. Nella sua opera, Phra Aphai Mani è un principe esiliato dal regno per aver scelto di studiare la musica, considerata inutile rispetto alle arti marziali. Durante il suo esilio viene sedotto da Phisuea Samut, una creatura marina che si presenta come una donna affascinante. Dalla loro unione nasce un figlio. Ma quando il principe scopre la vera natura della compagna, scappa, aiutato da una sirena.
Secondo il racconto, è proprio la sirena a condurre il principe e il figlio su un’isola chiamata Koh Kaew Phitsadan, che significa “isola del cristallo meraviglioso” oggi identificata con Koh Samet. Lì Phra Aphai Mani trova rifugio, inizia una nuova vita e ha un secondo figlio dalla sirena. Nel poema, il flauto del principe non è solo uno strumento musicale, ma un’arma capace di incantare e persino distruggere. La sirena rappresenta invece la salvezza e la protezione.
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Oggi l’isola continua a sembrare un paradiso. Le acque sono limpide, le spiagge curate, i panorami bellissimi e il turismo in crescita. Ma per chi vive di pesca, tutto è più fragile di quanto appare. Samlan e Tam continuano a uscire in mare. Le reti, la canna, il secchio: cambiano i giorni, non i gesti. Ogni tanto si ride, si cucina quel poco che si prende. Ogni tanto si aspetta che il mare dia un segno. Come facevano i padri. Come raccontano le storie.
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