laR+ Ticino

Cultura generale, stop all’esame finale scritto? Il Plr insorge

I liberali radicali criticano la decisione della Sefri e interrogano il Consiglio di Stato: ‘Vengono svalutati sia la materia, sia il concetto di merito’

Il tema è caldo
(Ti-Press)
25 febbraio 2025
|

“Crediamo ancora nell’insegnamento di Cultura generale, negli esami e nelle note?”. La domanda, retorica fino a un certo punto, la formula il Plr al Consiglio di Stato. Il contenuto è cosa nota: la volontà della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (Sefri) di abolire l’esame finale scritto di Cultura generale sostituendolo con un colloquio orale. Malgrado, scrive il Plr, “l’esperienza del doppio esame di cultura generale sia stata finora positiva per allievi e docenti”. E malgrado, ancor di più, “l’articolo 2 dell’Ordinanza della Sefri chiarisce che ‘l’insegnamento della cultura generale permette di acquisire competenze fondamentali per orientarsi nella vita e nella società e per superare sfide sia nella sfera privata, sia in quella professionale’”.

‘La pressione è utile e formativa per il futuro’

Secondo i commissari liberali radicali presenti nella commissione parlamentare ‘Formazione e cultura’ e firmatari dell'interrogazione in questione – Paolo Ortelli, Aron Piezzi, Alessandro Speziali, Diana Tenconi e Tiziano Zanetti – “di fatto, si svaluta la materia, anche nei confronti degli altri insegnamenti. L’esame finale scritto è importante e garantisce condizioni uguali per tutti, con criteri di valutazione uniformi. Tutte le classi dello stesso apprendistato – scrivono i deputati del Plr – sostengono contemporaneamente il medesimo esame finale scritto, e ciò aiuta anche qualitativamente la comparazione tra classi. Inoltre, gli esami scritti pongono anche una dose di ‘pressione’, utile e formativa per affrontare prove e situazioni negli anni a seguire”. Insomma, “l’esame finale scritto tratta i temi della vita quotidiana, come il lavoro, le assicurazioni, l’educazione civica o le competenze linguistiche”.

E proprio per questo, gli autori dell'atto parlamentare ricordano che “l’impatto dell’intelligenza artificiale è sempre più profondo e diffuso”. Va da sé che “la formazione non è immune, e vanno anche dunque ripensati i lavori scritti e la loro valutazione”. Più in generale però, si legge ancora nel testo dell'interrogazione, “l’insegnamento di Cultura generale poggia su un concetto consolidato negli anni, che prevede una nota scolastica, l’esame finale scritto nonché un lavoro di approfondimento con presentazione. La Sefri invece vuole cambiare questa modalità ben rodata per introdurre modelli opinabili, qui come anche in altri ambiti portando spesso avanti modelli di riforma molto teorici. Una delle conseguenze è l’indebolimento dei concetti di prestazione e merito”.

E da rilevare, per i commissari del Plr in ‘Formazione e cultura’, è anche il fatto che “siano state espresse critiche e una crescente contrarietà dalla maggioranza dei Cantoni e degli istituti di formazione, ma non solo. Tuttavia, la Sefri non intende modificare il progetto previsto”. La conseguenza? “Nel resto della Svizzera ha preso avvio una petizione nell’ambiente formativo per manifestare l’importanza dell’insegnamento di Cultura generale; ciò anche in reazione all’atteggiamento fuorviante della Sefri nel comunicare i risultati della consultazione”.

Le domande al governo

Partendo da un quadretto che per i liberali radicali parrebbe tutto tranne che meraviglioso, nell'interrogazione si chiede al Consiglio di Stato se sia a conoscenza di questa modifica proposta dalla Sefri, se il Dipartimento educazione, cultura e sport sia stato coinvolto nella consultazione e che posizione abbia preso dopo, magari, essersi consultato con la Scuola universitaria federale per la formazione professionale (Suffp). Il Plr chiede anche “quali elementi a sostegno della modifica all’ordinanza sono stati espressi dai vari cantoni e quali problematiche”, e se “sia stato considerato l’impatto sull’attuale sistema (ad esempio sull’approccio didattico e sul carico lavorativo dei docenti)”. Ovviamente, al Consiglio di Stato viene domandato anche se “si condivide l’importanza generale degli esami scritti, anche in riferimento alle capacità e competenze nella scrittura (conoscenze della lingua e capacità di costruzione del ragionamento e del discorso)” ma anche se “la petizione citata nelle considerazioni sia stata presentata in Ticino, se sia data la possibilità di poterla sottoporre all’attenzione dei docenti e delle direzioni, se no come mai e se ci sono state richieste non concesse di inoltro della petizione?”.

Finito? No. Il carico arriva chiedendo se “sono in corso analisi o progetti che prevedono anche l’abbandono delle note scolastiche sul piano federale o cantonale, e in caso positivo cosa prevedono e su quali considerazioni” e, chiaramente, “qual è la posizione del Dipartimento in merito, su quali motivazioni si poggia e se sia previsto un coinvolgimento del mondo scolastico ticinese”.

Bertoli: ‘Gli esami scritti rimangano, ma tanto squilibrio a favore dell’economia...’

Un’altra voce nel dibattito, ormai lanciato in tutta la Svizzera, è quella del già consigliere di Stato socialista e direttore del Decs Manuele Bertoli, che interpellato da ‘laRegione’ per un commento sottolinea come «personalmente credo che la presenza della cultura generale nelle scuole professionali sia importante, affinché accanto alle competenze professionali le allieve e gli allievi coltivino interessi di più ampia natura e le scuole professionali non si riducano a luoghi di addestramento delle nuove lavoratrici e dei nuovi lavoratori». Per Bertoli, «senza enfatizzare il ruolo degli esami scritti è bene che essi rimangano, come elemento conclusivo di un percorso». A ogni modo, attacca il già ‘ministro’ dell’educazione, «non mi stupisce purtroppo la tendenza della Sefri e del Dipartimento federale competente di puntare a comprimere tutto quello che non è direttamente legato alle strette competenze professionali: il partenariato tra economia e Stato nel pilotaggio della formazione professionale si sta purtroppo squilibrando a favore delle esigenze dell’economia».