laR+ IL COMMENTO

Papa Francesco, nel nome il destino

Bergoglio è anche un dissidente sconfitto: lascia un mondo dove regnano nazionalismi, culto del denaro, guerre, disuguaglianze, satrapi e oligarchi

In sintesi:
  • Le sue riforme hanno visto una Chiesa in buona parte recalcitrante
  • Incompiuta è certamente la sua opera di pulizia all’interno delle mura vaticane
L’agiografia non renderebbe onore al Pontefice scomparso
(Keystone)
22 aprile 2025
|

“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. Nomen omen, nel nome il destino: la scelta del gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio di adottare il nome del poverello di Assisi non lascia molti dubbi sulla personalità del 266esimo Papa della Chiesa cattolica. L’inno alla vita con il quale ha voluto battezzare la più celebre delle sue quattro encicliche riprende tutto il senso rivoluzionario del Cantico delle creature, incantevole testo poetico, il più antico della letteratura italiana. Papa Francesco, il Pontefice che riscopre offrendolo a tutti noi, cattolici e non, il valore dell’umiltà, del rispetto, della semplicità e della pace. E che denuncia come nell’enigmatico testo biblico del Qoelet, il peccato dei peccati, la vanità.

Papa Francesco è anche uno sconfitto: lascia un mondo dove regnano nazionalismi, culto del denaro, guerre, disuguaglianze, satrapi e oligarchi. Ha voluto portare la sua esemplare vita apostolica, come tentò di fare il Santo umbro con i suoi “fratres”, in un’istituzione che nel 2025 rimane ancora in parte restia all’insegnamento del Cristo. Certo non siamo più ai tempi di Innocenzo III e delle sanguinose crociate, a cominciare da quella contro i peggiori eretici, quei Catari che proclamavano con forza il valore della spiritualità e dell’uguaglianza tra esseri umani. Ma è ben noto che le sue riforme hanno visto una Chiesa in buona parte recalcitrante, divisa, ostile, dal segretario particolare di Ratzinger padre Georg (“manca di nobiltà e umanità”) al cardinale “pro-life”, l’ultraconservatore americano Raymond Leo Burke, grande estimatore di Donald Trump.

Il giorno della morte è tradizionalmente anche quello delle ipocrisie. Su di tutte svettano quelle di Vladimir Putin che celebra “l’uomo di pace” e quella di Javier Milei: “Saluto la sua bontà e saggezza nonostante le piccole divergenze”. Il presidente argentino si era anche scusato per i toni eccessivi, ma lo aveva comunque tacciato di “personaggio nefasto”, di “pazzo che promuove il comunismo”, di “rappresentante del maligno sulla terra”. Come sempre in queste circostanze, “l’unanime cordoglio” nasconde una scivolosa doppiezza. Il mondo che celebra la grandezza del defunto è anche quello di Trump e del cattolico J.D. Vance che incatenano e deportano gli immigrati, quello di chi la “nostra matre terra” è sempre pronto a stuprarla pur di incassare giganteschi guadagni, il mondo degli angeli della morte, da Mosca a Tel Aviv.

L’agiografia non renderebbe onore al Pontefice scomparso: incompiuta è certamente la sua opera di pulizia all’interno delle mura vaticane, in particolare nella battaglia contro la piaga della pedofilia. Centralizzatore, ma è nella natura stessa del potere in Vaticano, non ha saputo né voluto far progredire la questione dell’anacronistico celibato dei preti e quella che appare come la più tenace delle ingiustizie, l’emarginazione delle donne a cui dopo 2000 anni di storia rimangono sbarrate le porte del sacerdozio. Visione retrograda che a guardar bene nella storia, contrassegnava pure il poverello di Assisi, ostile alla scienza e alla cultura. Forse allora, un dissidente coraggioso ma imperfetto. Certo è che Bergoglio lascia, come San Francesco, un mondo che proprio non gli assomiglia.