La solitudine di Hans, Pit e Armin e la Tuntschi chiamata ad alleviarla. Nella leggenda e nel podcast di Simona Sala a cura di Olmo Cerri
A dire il vero aveva sentito quegli strani lamenti quando erano ancora un gemito lontano. Una sorta di ululato difficilmente sovrapponibile a quello di un animale. Sylvie aveva alzato lo sguardo verso la montagna, nella direzione del luogo in cui, più tardi, dal bosco sarebbero dovuti sbucare suo marito Hans, il taciturno aiutante Peter, per tutto il paese Pit e, infine, il giovane Armin, diciotto anni da qualche giorno e alla sua prima esperienza sull’alpeggio. Li avrebbe preceduti il pastore appenzellese Rex, fuori di sé per la gioia di vedere presto riuniti nello stesso luogo i suoi padroni. Il cielo era coperto, ma non avrebbe piovuto, ogni tanto qualche nuvola grigia passava sopra le loro teste, senza risolversi a farsi pioggia.
Sylvie, non vedendo nulla, tornò a dedicarsi al vecchio pero storto, sorridendo al pensiero che ogni anno il marito tornasse alla carica per abbatterlo. Era vero che dava frutti piccoli e irregolari, dalla buccia ruvida e scura, ma all’interno le pere erano zuccherose e, soprattutto, le ricordavano la nonna paterna, che quell’albero lo aveva piantato. Una volta cotte, le pere sarebbero state ideali per la vecchia, che si era trasferita da loro dopo la morte della cognata Berti, sorella di Hans. Alla vecchia erano rimasti pochi denti, e poteva mangiare solo cibo frullato.
Sentì di nuovo l’urlo, questa volta più vicino, e di nuovo alzò lo sguardo verso la montagna. Riconobbe le camicie azzurre di cotone che tutti e tre gli uomini avevano indossato il giorno della salita all’alpeggio e che, come da tradizione, venivano sfoggiate al ritorno al villaggio. Sylvie individuò il corpo giovane e scarno di Armin, le gambe lunghe che sbilenche divoravano il sentiero, le braccia rivolte al cielo. Dietro di lui, zoppicante, Pit. Ora sarebbe sbucato anche Hans, Sylvie ne era certa. Ma perché non si vedeva? Che si fosse ferito? Che avesse incontrato qualcuno?
.....
Sylvie si schermò gli occhi con la mano, mentre le urla si facevano più vicine. Era Armin che gridava, e lei, ora che scendeva il dirupo a lunghi salti, cominciava a vederne la bocca, tonda, aperta, quasi immobile, che emetteva quell’unico lungo ululato che rimbalzava sui tetti delle case, come a richiamarne gli abitanti. Sylvie si voltò verso il villaggio, e vide la vecchia che sopraggiungeva a passetti incerti, gli occhi bianchi per la cataratta rivolti verso la montagna. «Dove ha lasciato le bambine? Sono con Heidi?», chiese Sylvie. La vecchia annuì.
Ora Armin era a poche decine di metri, mentre Pit aveva perso terreno. Sembrava fargli male una gamba, di tanto in tanto si aiutava sollevandola con un braccio. Che succede? Sylvie sussultò: lei e la vecchia erano state raggiunte dalla Betschart, la vicina di casa, zia di Armin. Quando la donna riconobbe il nipote, spalancò le braccia, pronta a mettere fine a quella corsa disperata in discesa. Aprì anche lei la bocca, sintonizzandosi sull’ululato del nipote, ormai vicino, e Armin, con la scarsa coordinazione di chi è troppo alto, finì dritto tra le braccia della zia. Appoggiò il mento sulla sua spalla, poi, esausto, chiuse gli occhi e si lasciò cadere al suolo. Restò così, svenuto.
Il silenzio che si creò permise a Sylvie di sentire il cuore che le martellava nel petto. La Betschart, nel frattempo, si era accovacciata di fianco al nipote, gli aveva infilato un braccio sotto la nuca e cercava di rianimarlo a suon di schiaffetti. Pit era sempre più vicino, pochi passi e avrebbero potuto scorgerne il volto. Si fermò a qualche metro dalle donne, i radi capelli grigi scarmigliati e la faccia cotta dal sole. I suoi occhi cristallini, di solito rivolti a terra per la timidezza, ora fissavano un punto lontano, da qualche parte in fondo al villaggio. Le labbra bagnate di saliva fremevano, come se borbottassero qualcosa in modo autonomo. Il mormorìo si fece più distinto, mentre Pit, con l’indice alzato, faceva ora segno verso la montagna.
«Hans, lassù, Hans, lassù, lei… lei, lassù, Hans, lassù».
«Dove è Hans? E Rex? Dove sono? Pit, cosa è successo?
E dove sono le bestie?».
Un tremito attraversava la voce delle tre donne.
[...]
Le vacche erano già state radunate per la mungitura. Era stata una primavera piovosa, e i pascoli erano di un verde sgargiante, con un’erba tenera ma tenace, che a ogni refolo di vento profumava l’aria. Prima di allontanarsi verso i pascoli più lontani, le vacche avrebbero avuto il loro daffare intorno all’alpeggio. Dopo cena Hans e Pit avevano fatto un ultimo giro di ricognizione insieme ad Armin, mostrandogli alcuni trucchi, indicandogli le vette tutt’intorno, gli alpeggi di altri Sennen che conoscevano, e i pericoli che si potevano annidare un po’ ovunque. Armin li aveva ascoltati annuendo, fulmini e temporali gli facevano paura da quando, tre anni prima, in un pascolo ci aveva lasciato la pelle un suo coetaneo; ogni volta che si citava un pericolo, sussultava e, senza averne contezza, faceva il segno della croce. Pit e Hans si erano resi conto del suo carattere cauto, ma salivano da troppi anni all’alpe per non sapere che, come tutti gli altri prima di lui, anche il giovane Armin si sarebbe abituato a cavarsela con meno ancora che giù al villaggio.
Più tardi Hans si era di nuovo infilato la camicia blu chiaro (sostituita durante il giorno con una vecchia e lisa per i lavori di pastorizia) come faceva sempre la prima e l’ultima sera, ed era uscito per andare a pregare, seguito da Rex.
Armin aveva preso posto sulla panca di legno davanti alla finestra accanto a Pit, che dopo essersi infilato un berretto di lana, si era acceso l’unica sigaretta che si concedeva al giorno.
Hans prese il sentiero che, costeggiando l’alpe, saliva leggermente per poi curvare. L’erba era punteggiata di un giallo smunto e tra i fili novelli le capocchie dei ginestrini fremevano come se lo stessero salutando. Una genziana maggiore svettava solitaria, e sembrava badare solo a sé stessa. Hans sentì un nodo in gola, sopraffatto dallo spettacolo del dolce pendio tinto dal rosso del tramonto. Poco più in alto, di fianco a una rudimentale croce di legno, spuntava dall’erba una roccia bianca con striature grigie e nere; il Senn vi si arrampicò senza sforzo e, buttando fuori il petto verso la valle, avvicinò alla bocca l’imbuto di legno che avrebbe amplificato la sua voce. Davanti a lui rosseggiava, e il cielo pareva andargli incontro; quelle pennellate nell’aria erano come rivoli di sangue divino, pensò Hans, e si emozionò come gli succedeva ogni anno la prima sera sull’alpeggio. Quel color porpora gli sembrava ogni volta troppo intenso e maestoso, perché lo potesse contenere un uomo solo su una roccia al cospetto di Dio e di Maria. Ma forse era proprio questo, il mistero della fede. Con il passare dei giorni, lo stupore sarebbe passato, e fino all’ultima sera il Senn non avrebbe più fatto caso né ai fiori, né ai colori del cielo, risucchiato da un senso di angoscia, struggimento e solitudine che nasceva sempre sottile, ma cresceva fino a risultare quasi insopportabile. [...]
Esistono diverse versioni della Sennentuntschi, leggenda che pare abbia avuto origine nella Schächental, valle alpina dell’Uri, ma che tocca anche le alpi bernesi, l’Alto Vallese e l’Alta Baviera. Con le dovute variazioni, i punti centrali restano i seguenti: pastori solitari creano una ‘Tuntschi’, bambola femminile che possa alleviare la solitudine sull’alpeggio; poco prima della discesa a valle però, la bambola prende vita per vendicarsi delle azioni che i pastori hanno commesso su di lei.
Arricchito da contributi di esperti del settore, ‘Sennentuntschi, una ricognizione. Viaggio nell’anima nera delle Alpi’ è un podcast in tre episodi di Simona Sala a cura di Olmo Cerri, un viaggio in questa leggenda alpina che nelle sue molte trasposizioni non ha mancato di dare scandalo. Come quella del 1972 del drammaturgo svizzero Hansjörg Schneider, che nel 1981 la Tv svizzera trasmise di notte e per la quale fu denunciata per blasfemia. Controverso, ma per questioni di produzione, risultò anche ‘Sennentuntschi’ il film, diretto da Michael Steiner nel 2010.
La docufiction a tinte horror di Sala e Cerri parla della vita sull’alpe e delle difficoltà a essa legate. È disponibile gratuitamente sulle maggiori piattaforme di podcast (l’ascolto è consigliato al pubblico adulto). Viaggia insieme al libretto edito da Abendstern, dal quale arrivano i due estratti in pagina. Realizzato dalla stessa Abendstern in collaborazione con l’Associazione REC, ‘Sennentuntschi’ è interpretato da Alessandro Tripodina, Massimiliano Zampetti, Margherita Saltamacchia, Peter Egloff, Marco Bosia, Edoardo Albisetti, Stefano Moosimann. Il podcast è stato selezionato insieme ad altri due lavori dal Festival del Film di Trento nella nuova sezione ‘Pensare podcast. Come raccontare la montagna con i podcast’. Domenica a Palazzo Benvenuti alle 17.30, Luca Calzolari dialogherà con Andrea Borgnino, responsabile dei podcast originali di RaiPlaySound e con gli scrittori e podcaster Lorenzo Pavolini e Davide S. Sapienza. Saranno poi ascoltati e analizzati tre frammenti di podcast sulla montagna, scelti dagli esperti e commentati insieme agli autori.