Il vaticanista Gagliarducci: ‘Sarà per Trump quello che Wojtyla fu per il comunismo. Il voto è filato liscio, il bergogliano David non ha convinto’
Robert Francis Prevost è il 267esimo Papa. Ma come è salito al soglio pontificio? Che segnali sta mandando? Ne abbiamo parlato con Andrea Gagliarducci, vaticanista di Ewtn, la più grande rete mediatica globale cattolica, presente in 140 Paesi. “Partiamo da alcune cose essenziali. La prima: l’abbiamo visto uscire sul balcone con questa mantellina rossa, la mozzetta, che è parte delle vesti papali sin dal tempo dell’impero. Il Papa non è bianco, ma bianco e rosso. I papi in tutti gli eventi pubblici hanno sempre questa mantellina rossa. Francesco però la rifiutò. Il fatto che Prevost abbia riportato la mozzetta è un segnale molto preciso nel linguaggio vaticano. E significa: ‘Noi torniamo a rimettere l’istituzione al centro’. È un messaggio molto importante. Poteva uscire senza, poteva fare come voleva. Ma lui l’ha messa”.
“Secondo tema: al di là dell’emozione, lui ha preparato un discorso scritto. Non era spontaneo come quello degli altri papi. Il primo a fare un discorso fu Giovanni Paolo II. Prima non si faceva. Giovanni Paolo I avrebbe voluto parlare, ma il cerimoniere gli disse: ‘Santità non si fa, Lei deve solo benedire’. E in effetti così si faceva. Wojtyla improvvisò. Così come Benedetto XVI e anche Francesco, che faceva sempre tutto a braccio. Prevost invece ha ponderato tutto, sin da quel ‘La pace sia con tutti voi’. Insomma, abbiamo risentito quello che veniva ripetuto nei giorni precedenti al Conclave. Ovvero: ‘Che Papa ci serve? Uno che parli di pace’, tant’è che i cardinali fanno una dichiarazione sulla Pace nel mondo, cosa non usuale. E poi ancora: ‘Un Papa che porti ordine e unità nella Chiesa’. Lui si presenta e dice ‘Pace a voi’, usa tre volte la parola dialogo, parla di Francesco riguardo alla sinodalità, ma tutto l’universo simbolico è diverso. Il messaggio è chiaro: noi non toglieremo niente di quel che di buono è stato fatto, ma ricominciamo a parlare, non al di fuori, ma a noi. È un discorso di consolidamento: ‘Noi dobbiamo parlare della nostra fede’. Ha citato Gesù Cristo probabilmente più volte di quanto non sia stato fatto negli ultimi 12 anni”.
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Papa Francesco
“Il discorso era molto centrato. Ogni parola aveva un sottotesto. Pensiamo al riferimento alla Supplica della Madonna di Pompei, che cadeva nel giorno dell’elezione. Lì il significato è ‘la devozione popolare è importante, dovete pregare’. E poi l’uso dello spagnolo. Lui è statunitense, ma ha preso la cittadinanza peruviana. E qui è il caso di soffermarsi un attimo sul rapporto con Trump, perché lui assorbirà molto il trumpismo. Prevost non è trumpiano, non è un woke, ma non è nemmeno un liberal. Questo suo modo di porsi, molto concreto, pratico e basato su Gesù Cristo, assorbe molto il trumpismo. Perché lui sta dicendo ‘dobbiamo volerci bene, ma dobbiamo anche voler bene al prossimo’. Secondo me lui sarà un problema per la cultura trumpista, e non mi riferisco solo a Trump, m a tutti questi nazionalismi beceri che stanno funzionando perché in una situazione di crisi la gente cerca risposte. Sarà per loro quello che Wojtyla fu per il comunismo, e cioè un fattore di rottura che darà un’alternativa. Alternativa che Francesco non dava, perché lui, da latinoamericano, attaccava i populismi da populista. E l’America Latina ha un suo universo di simboli, di cui il populismo è parte fondamentale. È stato un errore? Lo è sempre quando imponi certi simboli in un posto che ne ha altri. I linguaggi contano sempre, e tu puoi capirlo oppure no. La teologia latinoamericana è una teologia derivata. La teologia della liberazione prende il marxismo in Europa: Gutiérrez studiò in Francia, Boff in Germania. Francesco ha cercato di fare della teologia latinoamericana, che è derivata, una teologia fonte. Ma così è stata imposta una visione senza la forza degli argomenti, perché per avere la forza degli argomenti ti serve una storia lunga. Ora ci ritroviamo paradossalmente un Papa del Nuovo Mondo che ci sta riportando nel Vecchio. E che dice: ‘Io vengo dal Nuovo Mondo, ma sono stato imbevuto di questo universo di simboli che so che è importante, e quindi non ve lo tolgo’”.
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Wojtyla durante il suo primo discorso
Quando c’è stata la fumata bianca ho visto i romani correre. Tre quarti della gente che era lì, manco va a messa. Però sentono questo universo simbolico forte, è una cosa che ti resta nelle viscere. Questo ti dice che quei simboli servono alla gente, perché la legano in qualche modo. Francesco non l’aveva capito. Sembra assurdo, ma lui parlava a una nicchia. Tre quarti dei problemi che proponeva erano problemi di primo mondo e non di terzo mondo, come la questione Lgbt e quella dei migranti affrontata in modo politicizzato, o i divorziati e risposati. Ma in Africa non è il primo problema, lì ti dicono: ‘Noi abbiamo bisogno della fede perché qui la gente muore e ci serve per dare un senso a quello che facciamo’. Anche perché l’accoglienza e l’amore per il prossimo li puoi predicare anche senza essere cattolico. E se non parti da Gesù Cristo sei uguale a tutti gli altri. Ora, con Leone XIV, la Chiesa sta compensando questo paradosso. Noi usciamo da un pontificato di 12 anni in cui tre mondi, quello europeo (che si tira dentro Asia e Africa), quello nordamericano e quello sudamericano hanno avuto uno scontro di civiltà, perché tutto era spostato verso il Sudamerica. Con i nordamericani che si sentivano oltraggiati e i cattolici europei che dicevano ‘questa roba non fa per noi’. Quindi ora chiamano un uomo che conosce tutti e tre questi mondi e che con il suo approccio pacato può risolvere il problema”.
“Se guardiamo le cose a ritroso, tutto portava già a lui, compresa l’omelia del cardinale Re. L’elezione è stata rapida perché avevano già un candidato in mente”, spiega Gagliarducci. Ma cosa può essere successo in Conclave? “Da quel che so, c’è stato un discorso che ha acceso la luce, ed era quello di Prevost. In pratica ha detto ai cardinali ciò che volevano sentirsi dire. Poi ce n’è stato un altro, del filippino David, che ha acceso le fantasie di quelli che io chiamo Guardiani della Rivoluzione, i bergogliani convinti. David è quello che spiegò sui social che non gli piaceva essere chiamato cardinale. Più che un Francesco II sarebbe stato un secondo Francesco. E lì si sono buttati un po’ tutti i progressisti. Ma poi c’è il resto, che è un grande centro, una maggioranza silenziosa che è stata ignorata dalla stampa. Parliamo di una settantina di cardinali asiatici, africani ed europei che avevano quasi i numeri che per arrivare a 89. Questa maggioranza è andata subito su Prevost. I bergogliani hanno puntato su David sperando di fare un secondo Francesco, ma era un manipolo di una trentina di voti che si è sciolto rapidamente. Non ha sfondato perché questa enfasi sul lato pastorale sarà anche bella, ma tu in Vaticano devi fare un governo. A volte non ci si rende conto che il Papa non è solo il Papa, ma fa il Papa. C’è differenza. E fare il Papa vuol dire sapere usare i simboli, il governo, il potere. Per occuparsi dei poveri ci sono i parroci, il Papa deve dare unità alla Chiesa. I cardinali, va ricordato, non stavano cercando un successore di Francesco, ma di Pietro. E David sarebbe stato un successore di Francesco”.
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Il cardinale filippino David
Altri nomi? Poca cosa. Parolin? A lui Prevost stava bene. C’è chi dice che avrebbe spostato il suo pacchetto di voti su di lui. Ma non credo. Certo, Parolin aveva il supporto di otto cardinali diplomatici, che avevano un peso, ma non sufficiente. La seconda e la terza votazione sono andate via molto veloci. Tanti avevano già votato Prevost. Ma al terzo non si chiude quasi mai, perché poi la pausa pranzo, che è lunga, permette di limare le cose. Quando al quarto scrutinio c’è qualcuno in procinto di diventare Papa, gli altri cambiano già atteggiamento. Nel 2005, dopo il terzo scrutinio, Ratzinger andava all’ascensore e quando gli altri lo vedevano gli lasciavano la precedenza dicendogli ‘Santità Santità’, perché sapevano cosa sarebbe successo di lì a poco. L’elezione cambia tutto, guarda anche Prevost, non è un carismatico, ma il ruolo fa tutto. Alla gente è piaciuto, ha apprezzato la sua emozione. Il cardinal Siri diceva ‘ci sono quelli che nascono Papa e quelli che lo diventano in Conclave’. Ovvero, il lavoro a volte ti capita e tu lo capisci solo in quel momento lì. Montini è uno di quelli che si vedeva da prima, era nato Papa, una di quelle persone che sembra camminare sopra le nuvole. Altri no”.
“Durante la prima messa con i cardinali, che è un po’ il manifesto programmatico, Leone XIV ha preso la ferula papale di Benedetto XVI. “Un segnale netto – spiega Gagliarducci – che ha dato dignità a un pontificato maltrattato sotto Francesco. Semplicemente perché Benedetto era ancora vivo e si temeva che parlasse, anche se in realtà non ha mai parlato. C’era il terrore. Il funerale di Bendetto XVi fu una cosa di rara vergogna per come fu gestito. Hanno fatto una traslazione di notte, su un camioncino aperto, col rischio che la bara cadesse. Francesco non è andato nemmeno a dare la benedizione, non ha fatto il nome di Benedetto durante l’omelia. Ci sono note verbali in cui si chiedeva alle delegazioni di non andare in alta uniforme, ma vestiti come a un cocktail party. Quindi la ferula è anche un modo per riprendere un pontificato oltraggiato. Con Papa Francesco era tutto un proliferare di croci, tutti in clergyman. Appena è morto è subito ripreso il linguaggio simbolico. Tutti in abito corale, in tenuta rossa, a parte un paio. È il ritorno del Gold Style, nemmeno dell’Old Style. Perché si usa l’oro? Perché a Dio dai la cosa più preziosa. Perfino San Francesco, che campava proprio male, voleva l’altare d’oro, perché era per Dio”.
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Benedetto XVI
Secondo Gagliarducci, Prevost “dovrà mettere mano in modo netto dove Francesco è andato avanti con procedimenti d’urgenza, i Motu Proprio (decreti legge papali, ndr), che servono a tamponare i problemi. Con Francesco era tutto un Motu Proprio, ne ha fatti più di 70, e niente è stato riordinato davvero. Ora Leone XIV in alcuni casi dovrà mettere ordine, in altri cancellare e rifare. Geopoliticamnete invece sarà interessante perché costringerà Trump a parlargli, cosa che Trump non aveva nessuna intenzione di fare con Francesco. Il richiamo alla pace è stato generale e forte e su quello insisterà. La ‘pace disarmata e disarmante’ è stata una frase forte, ben studiata”.
“Con Leone, Prevost ha voluto tagliare i ponti sia con Francesco che con il Novecento. Leone era un grande filosofo, modernissimo, in un periodo di grandi cambiamenti. Fu il primo Papa a rilasciare un’intervista, per di più a una donna, una giornalista di Le Monde. Il New Deal americano, poi, fu creato da un consulente cattolico di Roosevelt, tale John Ryan, che aveva lavorato con i vescovi e che prese ispirazione proprio dalla Rerum Novarum di Leone. Quindi il legame tra Leone e gli Usa c’è ed è forte”, conclude Gagliarducci.
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Leone XIII