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Divieto degli smartphone a scuola, ecco l'iniziativa popolare del Centro

La richiesta: modificare la Legge con un articolo ad hoc, al governo stabilire il regolamento. Cotti: ‘Misura proporzionata, il cambio di passo che serve’

Il rischio isolamento
(Keystone)
22 maggio 2025
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Annunciata un mesetto fa dal vicepresidente Giorgio Fonio al comitato cantonale, il Centro ha confezionato l’iniziativa popolare per vietare l’uso degli smartphone nella scuola dell’obbligo, che presto sarà lanciata ufficialmente. La richiesta contenuta nel testo d’iniziativa è semplicissima. Si tratta di aggiungere un articolo, il 14a, alla Legge della scuola. Un articolo che al capoverso 1 reca scritto che “agli allievi di scuola dell’infanzia, scuola elementare e scuola media non è consentito portare con sé, a scuola e durante le attività formative previste dalla legislazione scolastica, smartphone e altri dispositivi connessi”. Il capoverso 2 è quello che prevede come “il Consiglio di Stato disciplina mediante regolamento le modalità di applicazione del capoverso precedente”. L’ultimo capoverso, il 3, indica infine che “il regolamento può prevedere eventuali deroghe solo per esigenze didattiche o in presenza di gravi motivi”.

‘Abbiamo sensibilizzato fin troppo, ora occorre agire’

Tra i promotori dell’iniziativa c’è il granconsigliere Giuseppe Cotti, il quale sgombra subito il campo: «Questa iniziativa non nasce per fare altra ‘sensibilizzazione’. Abbiamo ‘sensibilizzato’ fin troppo, e non ha funzionato – spiega a ‘laRegione’ –. Appelli, raccomandazioni, linee guida: è tutto giusto, in teoria, ma ampiamente inefficace nella pratica. È ora di riconoscere che il tempo delle buone intenzioni è finito. Per questo proponiamo una regola semplice, chiara, vincolante, applicabile». Insomma, «è il cambio di passo che ci serve».

La prima domanda che si pone però è immediata: perché un divieto? E ancora: serve veramente che sia lo Stato a porlo? Cotti non si scompone e contrattacca: «Non si tratta di una misura né rigida, né irragionevole. È piuttosto un intervento equilibrato, fondato e necessario. È stato valutato dal profilo costituzionale ed è pienamente proporzionato – sottolinea Cotti –. La restrizione è motivata da un interesse pubblico evidente, vale a dire la protezione del benessere, dell’attenzione e dello sviluppo sano degli allievi». D’accordo, ma non è anche il ruolo della scuola far capire meglio certe dinamiche potenzialmente pericolose? Per il deputato del Centro «la verità è che la scuola, oggi, non riesce più a svolgere fino in fondo il suo compito educativo. E non per colpa sua». E di chi? Della diffusione sempre più capillare dei dispositivi digitali personali, perché «l’ambiente scolastico è minato dalla presenza pervasiva degli smartphone che distraggono, frammentano l’attenzione, impoveriscono le relazioni reali e aumentano l’esposizione a forme gravi di disagio come l’ansia sociale, la dipendenza digitale, il cyberbullismo. I docenti lo dicono da anni, le famiglie lo sanno, i numeri lo confermano».

‘Gli studi scientifici sono ormai unanimi’

Cotti è più che convinto che la strada sia quella giusta, dal momento che «gli studi scientifici sono ormai unanimi: l’uso precoce e non regolamentato degli smartphone compromette la qualità dell’apprendimento, danneggia lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e favorisce disturbi del sonno, dell’umore, della concentrazione. Ancora più grave – rimarca il deputato del Centro – è che il tempo passato sugli schermi sta progressivamente cancellando due elementi fondanti della crescita: il gioco libero e il contatto umano». Nessuna operazione nostalgia davanti a un mondo che cambia? «Non stiamo affatto parlando di nostalgia – replica Cotti –. Stiamo parlando di scienza, di salute, di realtà. Il gioco fisico, spontaneo, non mediato dalla tecnologia, è essenziale per costruire autonomia, fiducia, capacità decisionale. Eppure, oggi bambini e ragazzi crescono sempre più isolati, immobili, iperstimolati, ma emotivamente fragili».

In un discorso che, per il Centro, «si inserisce in un movimento internazionale serio e coraggioso. In Francia, la cosiddetta “pausa digitale” è stata sperimentata in 200 scuole medie, coinvolgendo oltre 50mila studenti. I risultati parlano chiaro: miglioramento della concentrazione, relazioni sociali più sane, più movimento e benessere generale. Non ci sono stati drammi, né crolli educativi. Al contrario: c’è stato sollievo. Tanto che il governo francese ha deciso di estendere la misura a livello nazionale dal prossimo anno scolastico. In Svizzera, possiamo davvero permetterci di continuare a ignorare questi segnali?».

L’iniziativa, ricorda ancora Cotti, vedrà «un comitato promotore composto da persone con esperienze diverse, unite dalla convinzione che il problema è serio e non si risolve con slogan: rappresentanti di diverse forze politiche, ex direttori scolastici, pediatri ed esperti nel campo dell’educazione. Una pluralità di voci che testimonia quanto il tema sia sentito, trasversale e urgente».

‘Un messaggio forte rivolto ai genitori’

Ma soprattutto, «questa iniziativa è anche un messaggio forte rivolto ai genitori. Viviamo in un tempo segnato da un iper-controllo e da una iper-regolamentazione del mondo reale: ogni gesto, ogni ambito della vita quotidiana è sottoposto a norme, prescrizioni, vincoli. Eppure, proprio mentre sorvegliamo tutto con zelo crescente, il mondo digitale rimane un territorio abbandonato a sé stesso, privo di regole, di limiti, di responsabilità. È assurdo – attacca ancora Cotti –. In tasca, i nostri figli portano dispositivi che danno accesso a contenuti inadeguati, violenti, socialmente distruttivi. E noi stiamo a guardare». E no, la scuola «non può fare tutto da sola, ma può, e deve, tornare a essere un riferimento forte. Una zona franca dalla pressione digitale. Un luogo di concentrazione, relazione, attenzione, sviluppo».

A mente del deputato del Centro, «questo intervento normativo è il primo passo concreto per ripristinare il senso e la dignità dell’educazione. Restituire ai ragazzi tempo reale, attenzione, libertà dal confronto costante e la possibilità di giocare, sbagliare, relazionarsi è oggi non solo un’opportunità, ma un dovere. Non è un passo indietro. È il modo per andare avanti, sul serio».

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