laR+ IL COMMENTO

Valli sospese tra la storia del passato e un futuro tutto da definire

Si mettono in atto diverse strategie per creare nuove opportunità di permanenza e contrastare lo spopolamento. Ma occorrono migliori collegamenti pubblici

In sintesi:
  • Il fenomeno dello spopolamento, lento ma inesorabile, delle vallate di montagna locarnesi sembra impossibile da contrastare
  • La classe politica prova a opporsi proponendo e sostenendo idee originali e soluzioni che possono sembrare un azzardo
(Archivio Ti-Press)
24 giugno 2025
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Onsernone, Centovalli, Lavizzara, Verzasca, Rovana. La lista è lunga e non risparmia nessuno. Censimento funereo di un inverno demografico che non fa sconti. Il fenomeno dello spopolamento, lento ma inesorabile, delle vallate di montagna locarnesi sembra impossibile da contrastare. I piccoli paesi si svuotano, se ne vanno gli ultimi custodi del territorio, custodi di tradizioni e cultura. Spesso difficilmente raggiungibili perché distanti dai centri urbani, queste piccole realtà rurali sono state oggetto, negli ultimi anni, di grandi sforzi da parte delle autorità locali (e della politica cantonale), fermamente decise a invertire la rotta (o, almeno, di incerottare la ferita aperta). Le amministrazioni, gli enti regionali di sviluppo, i patriziati hanno messo in piedi soluzioni creative e a volte costose, come gli incentivi alle famiglie, le condizioni vantaggiose a chi ristruttura casa o vi porta il proprio domicilio. Lo spopolamento è stato inevitabilmente accompagnato dalla diminuzione dei servizi offerti (scuole, uffici postali, negozi, bar), che a sua volta ha favorito ulteriore spopolamento, in una concatenazione tra effetti e cause difficile da interrompere. Siamo sulla strada di un passato che non tornerà più? Anche i progetti aggregativi (altro tema delicato soprattutto nel Locarnese) non hanno saputo cambiare il corso delle cose. Capire le trasformazioni dei territori di montagna non è facile, anche quando l’esplosione dei costi delle case, dei terreni, degli affitti nei centri e nella cintura urbana sembrerebbero spingere le famiglie a cercare una sistemazione altrove e, perché no, proprio nelle vallate.

La classe politica, chiamata a fare la sua parte per impedire che i piccoli borghi di montagna diventino pittoreschi paesaggi da cartolina e nulla più, prova a opporsi a questo destino immutabile proponendo e sostenendo idee originali (come in un recente passato il progetto di un secondo Parco nazionale svizzero) e a volte anche soluzioni che sembrano un azzardo (si pensi alla tanto chiacchierata funivia tra Fusio e Ambrì o al collegamento sotto la montagna tra Bosco Gurin e la Formazza). Anche se la glaciazione demografica non interesserà i centri del fondovalle, saranno questi ultimi, le città e il Cantone a pagare il funerale: l’abbandono del territorio implicherà infatti maggiori interventi di manutenzione dei boschi e dei corsi d’acqua (rischio idrogeologico). A questo punto quali carte giocare per evitare la desertificazione delle alte valli? Il futuro potrebbe essere roseo se verranno messe in campo misure ben ponderate e progetti per valorizzare le risorse territoriali. In aiuto vi sono le nuove frontiere del digitale (come il telelavoro, il coworking). La rinascita passa pure dalla creazione di infrastrutture e servizi nuovi nel campo turistico, sociale, culturale e della ricerca. Confidando, chissà, magari anche nell’aiuto del sempre crescente malessere dell’ overtourism, con le grandi mete ormai congestionate e irrespirabili; intercettare e deviare anche solo una minima parte di questi flussi su un’offerta più a misura d’uomo, meno frequentata, potrebbe generare indotti e occupazione. Richiamando nelle valli potenziali investitori. A patto che siano soddisfatti i requisiti minimi come i collegamenti pubblici spesso lacunosi, decurtati nel nome del risparmio proprio da chi (Cantone e Confederazione), paradossalmente, lancia iniziative per cercare di salvare il salvabile.