L'economista bellinzonese Attilio Zanetti, membro supplente della Direzione generale della Bns, su dazi Usa, congiuntura e ruolo della Banca nazionale
«È chiaro che se le tariffe americane venissero confermate al loro livello attuale, ci sarebbe un impatto frenante sull’economia svizzera – esordisce, interpellato da laRegione, Attilio Zanetti, economista bellinzonese, membro supplente della Direzione generale della Banca nazionale svizzera (Bns) dal 1º agosto 2022 e attivo presso l’Istituto di emissione da più di trent’anni, in una carriera che l’ha visto assumere diverse funzioni di grande responsabilità –. A breve-medio termine sarebbe ipotizzabile un effetto sulla crescita. E nella misura in cui la crescita rallenta, ciò potrebbe incidere sull’inflazione. È da escludere invece un impatto immediato al rialzo sui prezzi, poiché la Confederazione non ha reagito alla decisione dell’amministrazione americana imponendo tariffe sulle importazioni provenienti dagli Stati Uniti. Allo stato attuale è però davvero difficile quantificare tutti questi fenomeni. Gli istituti che si sono espressi finora prevedono una possibile diminuzione della crescita tra lo 0,3-0,5% all’orizzonte 2026/27. È evidente che ciò comporterebbe anche delle conseguenze sul mercato del lavoro».
Attilio Zanetti, che lettura fa la Banca nazionale dell’attuale congiuntura?
Formalmente le nuove previsioni della Bns verranno pubblicate a settembre. Ma bisognerebbe prima di tutto tornare a giugno, per capire quali erano le condizioni quadro che precedono gli eventi di queste ultime settimane. A giugno abbiamo pubblicato le nostre stime indicando una crescita economica compresa tra l’1-1,5%, sia per quest’anno che per il 2026. Tutto questo in un contesto internazionale di crescita moderata. Sul fronte dell’inflazione avevamo osservato un tasso leggermente negativo di -0,1% a maggio. Ma le nostre previsioni indicavano che l’inflazione si sarebbe mantenuta per i prossimi tre anni nell’area di stabilità dei prezzi (cioè tra 0 e 2 per cento, ndr). Moderata ma positiva. In questo scenario erano già inglobate le informazioni di cui si poteva disporre fino a quel momento in merito al contenzioso sui dazi, non solo per la Svizzera ma anche per gli altri Paesi. Quello che è accaduto in seguito, per quanto riguarda la congiuntura internazionale, è in linea con le analisi che avevamo fatto. Ciò che non era previsto era l’annuncio dell’amministrazione americana di inizio agosto delle tariffe che colpiscono la Svizzera. Su questo fronte la situazione rimane molto incerta, e non solo per la Svizzera ma anche per altri Paesi, per esempio per la Cina. Essendo una situazione in continua evoluzione è difficile prevedere quale sarà l’impatto esatto.
Tra le possibili conseguenze per l’economia svizzera derivanti dall’incertezza globale legata alla guerra commerciale innescata da Donald Trump ci sarebbe anche l’ulteriore rafforzamento del franco. La Bns come si pone di fronte a questa prospettiva?
Noi osserviamo l’evoluzione dell’inflazione, dell’economia reale e delle condizioni monetarie in Svizzera – che sono composte dai livelli dei tassi d’interesse e dai tassi di cambio –. Da inizio anno, e in particolare da aprile (dopo i primi annunci di politica commerciale del governo Trump, ndr) assistiamo a un marcato deprezzamento del dollaro. Questo è anche dovuto al fatto che i mercati tendono ad anticipare nuovi tagli dei tassi da parte della Fed; un declino dei tassi che induce un indebolimento della moneta. In parte l’indebolimento del dollaro è quindi da considerare come una sorta di normalizzazione. Come Banca nazionale facciamo una valutazione olistica delle condizioni monetarie e del loro impatto sulla stabilità dei prezzi e sull’economia reale, cioè della loro adeguatezza all’insieme dell’economia svizzera. Per quanto riguarda l’euro invece, la valuta del nostro principale partner commerciale, il tasso di cambio è rimasto stabile negli ultimi mesi, siamo praticamente allo stesso livello di inizio anno.
Per la Banca nazionale c’è una sorta di ‘linea rossa’ sotto la quale euro e dollaro non dovrebbero scendere?
No, non c’è nessuna linea rossa, nessun obiettivo in termini di tasso di cambio. Il nostro riferimento è la previsione di inflazione. Noi dobbiamo assicurare che le condizioni monetarie siano adeguate per adempiere al nostro compito, che è quello di garantire la stabilità dei prezzi.
Tornando un po’ indietro nel tempo vediamo che nel 2011, di fronte a un contesto macroeconomico per certi versi paragonabile, la Bns aveva deciso di introdurre la soglia minima di 1,20 per il cambio tra euro e franco. Questo per scongiurare il rischio di uno spiraglio deflattivo-recessivo e per salvaguardare la competitività dell’export elvetico. È ipotizzabile nelle attuali circostanze un intervento simile nei confronti del dollaro?
È importante capire che ci troviamo in una situazione radicalmente differente rispetto a quella del 2011. In questo momento non si può parlare di crisi di fiducia sul dollaro, come poteva essere il caso della crisi dell’euro del 2011. Il ruolo del dollaro nell’economia mondiale attualmente non è messo in discussione. Allora eravamo di fronte a una gravissima crisi di incertezza e di fiducia riguardo all’unione monetaria, con un apprezzamento massiccio e repentino del franco che toccava l’insieme dell’economia svizzera in maniera indistinta. Ora siamo confrontati con uno shock importante che tutti quanti speriamo possa essere rimosso al più presto attraverso il negoziato, ma che non è comparabile a uno shock di cambio come quello che avevamo visto in quel periodo. Né per ampiezza né per l’impatto sull’economia.
Quanto pesa l’accusa americana nei confronti della Svizzera di essere un Paese ‘manipolatore di valute’ nelle deliberazioni in merito a un vostro eventuale intervento sui mercati dei cambi? State ricevendo pressioni dal mondo politico e/o economico per adottare a breve termine delle misure in questo senso?
Abbiamo sempre sottolineato che gli interventi sul mercato dei cambi sono uno strumento a disposizione della Banca nazionale, che rimane a nostra disposizione e di cui la Bns intende fare uso se lo ritiene opportuno per adempiere al suo mandato. Va detto anche che, attualmente, da parte degli Usa non c’è nessun rimprovero di manipolazione della moneta. Siamo in contatto col Tesoro americano e abbiamo già spiegato ripetutamente in passato qual è la logica di questo strumento, e come non possa essere in nessun modo associata all’idea di una manipolazione della moneta per ottenere un vantaggio concorrenziale. Un’idea d’altronde estranea alla storia economica della Svizzera. Il mondo economico in questo momento è concentrato sulla tematica delle tariffe. Le tariffe così come sono state definite generano una minaccia per molte aziende che sono di fatto molto competitive. Credo che questo sia il focus, sia del mondo economico che dell’azione politica.
Lei come ticinese conosce bene il tessuto socio-economico cantonale composto soprattutto da Pmi, alcune con una importante vocazione esportatrice, che sono quelle più penalizzate dai dazi imposti dagli Stati Uniti. C’è qualche suggerimento che si sentirebbe di dare, dalla sua posizione di membro supplente della Direzione generale della Banca nazionale?
Quello che tutte le autorità auspicano nel Paese è di superare questa fase e di risolvere il problema alla radice. Ogni azienda si trova in una situazione particolare e quindi è difficile trarre delle conclusioni generali. Il problema evidentemente riguarda tutte le aziende che esportano in maniera importante negli Usa. La possibilità di reagire dipende dalle caratteristiche del prodotto, dalle catene di produzione e commercializzazione, dalla sensibilità della clientela al prezzo ecc. Ci possono essere degli scenari diversi: se un’azienda produce un prodotto di nicchia, che ha poca concorrenza e che entra in un prodotto finale negli Usa con un impatto minimo sul prezzo, a quel punto la capacità di trasmettere i dazi agli acquirenti americani è maggiore. In altri casi, invece, lo svantaggio concorrenziale per le aziende svizzere può costituire una minaccia esistenziale, con effetti strutturali su interi settori del comparto industriale. La via maestra è quella di riuscire a trovare un accordo con gli Stati Uniti.
Un accordo in cui la Bns non intende giocare alcun ruolo, pare di capire…
No, questo è un dossier nelle mani del Consiglio federale.