Caso Hospita e dintorni (questione gola profonda), aspettando le risposte del governo all’interpellanza dell’Mps. L'articolo 9d della Legge sulla polizia
Faceva parte del pacchetto di nuovi articoli oggetto della revisione della Legge sulla polizia (LPol) varata nel 2018 da governo e Gran Consiglio ed entrata in vigore l’anno successivo. È l’articolo 9d quello sulle ‘Fonti confidenziali’, secondo il quale “Per raccogliere informazioni utili allo svolgimento dei propri compiti, la polizia cantonale può, garantendone la confidenzialità, far ricorso alle rivelazioni di fonti confidenziali”. C’è un nesso tra questa norma e il tema delle denunce anonime sollevato dall’Mps con una recente interpellanza al Consiglio di Stato? L’atto parlamentare è stato presentato in relazione a uno dei controversi capitoli del dossier Hospita Sa. Quello sulla gola profonda all’origine dell’inchiesta penale per supposti reati patrimoniali a carico, fra gli altri, di Eolo Alberti. L’ex deputato leghista respinge gli illeciti imputatigli dalla pp Chiara Borelli. Non solo. Tramite il proprio legale, l’avvocato Pierluigi Pasi, ha sporto querela per diffamazione e calunnia: una querela a tutt’oggi contro ignoti. Alberti ancora non riesce a sapere dal Ministero pubblico le generalità della persona che l’anno scorso ha informato una commissaria della Polizia cantonale di presunte irregolarità nella società di cui era stato direttore amministrativo.
“Sulla base di quale disposizione legale è possibile avviare inchieste penali in base a denunce anonime? Sulla base di quali disposizioni legali alle parti in causa vengono negate le generalità della fonte anonima? In che modo viene verificata l’attendibilità delle denunce anonime prima di dar loro seguito con provvedimenti gravi? Esistono linee guida interne, direttive o protocolli del Ministero pubblico ticinese che regolamentano l’uso delle fonti anonime?”. Queste e altre le domande di Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi. Il 9d c’entra? All’atto parlamentare dell’Mps – titolo “Denunce anonime, una pratica riservata al caso Alberti o una pratica ricorrente presso il Ministero pubblico ticinese?” – il Consiglio di Stato deve ancora rispondere.
Riprendiamo il citato articolo, il 9d appunto. “Il compito principale della Polizia cantonale – annotava il governo nel messaggio del 30 gennaio 2018 sulla revisione della LPol – è quello di prevenire e impedire la commissione di reati. In questo senso è quindi necessario che l’ottenimento e l’utilizzo di informazioni rientrino tra i mezzi leciti perché indispensabili per mantenere la sicurezza e l’ordine costituito. Al fine di raccogliere informazioni, la polizia deve quindi poter ricorrere alle rivelazioni di informatori e persone di fiducia”. Secondo l’Esecutivo, la mancata protezione degli informatori “avrebbe come inevitabile conseguenza la diminuzione della collaborazione tra la polizia e la popolazione. Ne deriva il dovere per la polizia di non esporre questa persona a rischi utilizzando o trasmettendo senza precauzioni queste informazioni, e dai rapporti dovrà emergere che l’informazione è stata ottenuta in via confidenziale, previo occultamento del nominativo dell’informatore”. Tesi sposata dal rapporto di maggioranza uscito dall’allora commissione parlamentare della Legislazione. “L’obiettivo di questa norma – scrivevano i relatori Giorgio Galusero (Plr) e Amanda Rückert (Lega) – è sempre quello di prevenire la commissione di reati. Quindi sembra evidente che la Polizia cantonale possa poter ricorrere alle rivelazioni di informatori. Altrettanto logico quindi che queste persone vengano adeguatamente protette”.
Il 9d dunque per prevenire e impedire la commissione di reati. Il/la segnalante nell’affaire Hospita aveva però informato l’agente di polizia di presunti reati già avvenuti: siamo nel campo delle denunce anonime? Se il/la segnalante non dovesse rientrare tra le fonti confidenziali, perché allora la Procura non ne fornisce le generalità a chi lo ha querelato/a?
Torniamo al 2018. Il relatore di minoranza, il deputato socialista Carlo Lepori, riteneva invece “superfluo” l’articolo 9d sulle fonti confidenziali. “Come riportato nel messaggio, questa norma rimanda all’articolo 8 della legge sulla protezione dei dati personali elaborati dalla polizia cantonale e dalle polizie comunali secondo il quale si afferma positivamente il diritto di chi si rivolge alla polizia in buona fede di veder trattate confidenzialmente le informazioni fornite, quando un importante motivo lo giustifichi”. Aggiungeva Lepori nel rapporto di minoranza: “Il Cpp (Codice di procedura penale) già prevede che il procuratore, sentito il giudice dei provvedimenti coercitivi, garantisca l’anonimato delle persone da proteggere (articolo 150), con le conseguenze procedurali che ne derivano. Vista la presenza del diritto federale che non permetterà tutta una serie di attività, in sostanza con il nuovo articolo 9d verrà tutelato chi aiuta a schedare i cittadini, anche quando questi non hanno fatto niente di illecito”.
Sulla regolamentazione ticinese delle fonti confidenziali si era espresso, nel 2021, anche il Tribunale federale di Losanna. Tribunale federale cui si erano rivolti due giuristi, Martino Colombo e Filippo Contarini, impugnando la nuova legge cantonale sulla polizia e in particolare le disposizioni sulla custodia preventiva e le indagini mascherate preventive. Scrivevano i giudici: “Contestando l’articolo 9d (quello sulle fonti confidenziali, ndr) i ricorrenti fanno valere una violazione dell’articolo 13, capoverso 2 della Costituzione secondo cui ognuno ha diritto di essere protetto da un impiego abusivo dei suoi dati personali e accennano, in maniera generica, alla legge federale sulla protezione dei dati del 19 giugno 1992 senza richiamarne alcuna norma specifica”. Colombo e Contarini facevano tra l’altro notare che la norma non determinava nemmeno quale fosse l’interesse pubblico preponderante: anzi, la stessa norma “incentiverebbe la delazione e l’interessato sarebbe privo di ogni tutela giuridica, non disponendo neppure del diritto di interrogare i delatori”. Respingendo le argomentazioni dei due giuristi ticinesi, i giudici di Mon Repos si erano concentrati su due aspetti: “In Ticino la protezione dei dati elaborati dalla polizia cantonale è regolata dalla LPDPpol, la Legge sulla protezione dei dati personali elaborati dalla polizia cantonale e dalle polizie comunali, che si applica all’elaborazione di dati personali utili alla prevenzione, alla ricerca e alla repressione dei reati e ai compiti di protezione e sicurezza generale svolti dalla polizia”. Altro punto centrale menzionato nella sentenza: “I ricorrenti insistono sul fatto che le parti hanno il diritto di presenziare all’assunzione delle prove e di porre domande agli interrogati, e ai delatori quali testimoni a carico. I ricorrenti misconoscono però che l’acquisizione di informazioni confidenziali non persegue direttamente lo scopo di assumere prove e che non si è nell’ambito di un’accusa o di un procedimento penale. In quanto ammissibili – concludono quindi i giudici – le critiche all’articolo 9d della legge sulla polizia ticinese sono quindi infondate”.