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‘Una tassa di solidarietà sulle grandi fortune è una misura inaggirabile’

A colloquio con gli economisti Christian Marazzi, Spartaco Greppi e Sergio Rossi dopo l’esito del voto delle iniziative sui premi di cassa malati

(Ti-Press/laRegione)
1 ottobre 2025
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Tra i privilegi di un giornalista c’è quello di assistere, durante un pomeriggio autunnale, a una lezione individuale di economia politica. Interpretando però le varie sensibilità presenti nell’aula, al giornalista viene da dire che lo scopo appare univoco: rendere collettivo ciò che a priori avviene in forma privata. Ecco allora che con la scusa dell’esito del voto domenicale delle iniziative cantonali sui premi di cassa malati, ci si incontra con gli economisti Christian Marazzi, Spartaco Greppi e Sergio Rossi. «La votazione di domenica 28 settembre è stata l’epifania di un modello economico, fiscale e sociale del nostro cantone – afferma, a mo’ di introduzione, Marazzi –. Un modello che si è venuto consolidando dagli anni 90 con la svolta masoniana. Un programma economico basato sulla politica dei bassi salari, parassitando sul bacino del frontalierato. E con uno Stato sociale che di fatto ha avallato questa strategia, erogando sussidi che hanno, se non altro, permesso la continuazione di queste politiche dei bassi salari e fungendo paradossalmente da supporto al profitto privato. A tutto ciò si aggiunge una politica fiscale basata sulle deduzioni in nome del ceto medio (il Canton Ticino è il più “generoso” in materia di deduzioni, ndr), ma che in realtà favorisce soltanto i contribuenti molto facoltosi. Per non parlare della politica industriale incentrata prevalentemente sulla leva fiscale».

Dopo il voto di domenica la discussione politica si concentra ora su come finanziare le due iniziative riguardanti i premi: si parla di tagli alla spesa pubblica, di maggiori prelievi fiscali o di un mix di entrambi. Come si potrebbero coniugare le diverse volontà?

Greppi: Sarà senz’altro necessario coniugare queste necessità. Ma il messaggio uscito dalle urne è univoco: non ce la facciamo più. Di fatto sarà impossibile reggere gli attuali vincoli di spesa alle condizioni sociali attuali. Si parla spesso della presunta generosità del sistema sociale: in realtà il sistema non è così generoso. Il vero tema è quello della ingenerosità del sistema economico. Quello che la votazione ha rilevato, una volta per tutte, è che tutte quelle politiche dagli anni 90 in poi, in realtà non ce le potevamo permettere. Politiche che sono state innestate in un tessuto socioeconomico fragile e che non solo non l’hanno favorito, ma addirittura l’hanno ulteriormente indebolito. Tutto ciò in un contesto di una chiara e lampante assenza di una vera politica economica-industriale-sociale ad ampio respiro. Scaturisce proprio da qui la necessità di intervenire con delle prestazioni sociali giudicate “generose”. Ora occorre avviare invece una seria riflessione su che tipo di Paese vogliamo. Un dibattito che in questi anni è purtroppo mancato.

Rossi: È chiaro che bisognerà guardare sia alle entrate sia alle uscite dello Stato per arrivare alla cosiddetta quadratura del cerchio: non si può ragionare in termini ideologici, solo sulla spesa o solo sulle risorse. Andrebbe certo svolta una seria revisione della spesa pubblica, per individuare possibili ambiti di intervento. Ma il margine di risparmio sulla spesa sociale appare molto limitato. Quello che serve è un cambio di paradigma: non dire più “quanti soldi abbiamo, quanti ne possiamo spendere”, ma piuttosto calcolare quante risorse occorre raccogliere tramite le imposte affinché i bisogni della popolazione, comprese le imprese, vengano soddisfatti. Va cambiato l’approccio: andrebbe fatta sia una revisione della spesa pubblica, sia una revisione integrale della fiscalità diretta per riuscire, insomma, a calibrare bene entrambe.

Greppi: L’approccio dovrebbe infatti essere multidimensionale. Revisione della spesa, certo. Ma che parta dai bisogni, sulla base degli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di benessere della popolazione. E fermo restando che contemporaneamente bisogna agire sulla fiscalità.

Il Ps, promotore dell’iniziativa del 10%, ha proposto un modello basato su tre misure. Quella principale riguarda l’aumento del moltiplicatore: una strada percorribile? Fino a che punto?

Marazzi: Occorre fare una premessa: per quanto riguarda la Svizzera e soprattutto il Ticino, abbiamo assistito a una crescita notevole delle disuguaglianze, misurate per esempio attraverso l’indice di Gini. Con una particolarità: quelle riferite alla sostanza superano di gran lunga le disuguaglianze dei redditi. È chiaro che dopo il voto non si può prescindere dall’ipotesi di un aumento del moltiplicatore. Non credo però che con questo strumento si possa fare fronte all’aumento delle uscite. Non vedo come ci si possa spingere, al massimo, oltre ai dieci punti percentuali. E questo tenendo conto delle dinamiche future dei premi di cassa malati. Perciò ritengo che l’idea di una tassa di solidarietà sulle grandi fortune sia inaggirabile. In Francia, per esempio, c’è un dibattito aperto proprio su questi temi, a partire dal lavoro di Piketty e di Zucman, il quale propone un prelievo del 2% sui grandi patrimoni.

Rossi: Credo sia ragionevole far pagare un po’ più d’imposte a chi possiede molto, anche nel loro interesse: se la società è più coesa, l’economia funziona meglio e le persone facoltose possono trarne dei benefici, pure grazie a un maggior rendimento dei loro investimenti. Per non parlare della pace sociale.

Non appena si parla di rivedere la tassazione della sostanza, oppure quella dei globalisti, ci si confronta con il ‘rischio di fuga’: mito o pericolo reale?

Greppi: Ci sono studi recenti pubblicati in Francia che smentiscono questa idea della fuga dei grandi contribuenti a fronte di un aumento dell’imposizione fiscale sui patrimoni. E si riferiscono alla Francia, un Paese con una fiscalità elevata. Questa sarebbe l’occasione per studiare anche da noi il fenomeno in maniera seria, e non più sulla base di slogan infondati. Lo vediamo con i globalisti: sono diminuiti ma il loro gettito complessivamente è aumentato. Oggi la situazione geopolitica è tale che andare altrove per cercare quello che forse non si trova qui a livello di fiscalità è sempre più complicato, soprattutto se pensiamo alla stabilità, alla sicurezza, ecc.

Marazzi: Da anni siamo dentro a questa bolla narrativa della fuga dei contribuenti molto facoltosi. Negli anni Sessanta e Settanta c’era quella che Angelo Rossi chiamava la classe degli avvocati a portarla avanti. Oggi ci sono i consulenti fiscali. Si tratta di una teoria che non è mai stata dimostrata. Tutti i dati empirici vanno nella direzione opposta.

C’è chi invece considera che sia giunto il momento per lo Stato di procedere a una revisione completa della politica sociale e a una cura dimagrante per quanto concerne in particolare i dipendenti pubblici…

Rossi: È possibile che ci sia un piccolo margine legato alla digitalizzazione dei servizi pubblici, per esempio. Ma si tratta di risparmi tutto sommato insignificanti. Inoltre bisogna pensare che se riduciamo la forza lavoro nel settore pubblico, le famiglie e le imprese dovranno affrontare delle procedure amministrative più lente, scoraggiando addirittura chi vuol venire a investire in Ticino.

Greppi: Nessuno può chiamarsi fuori dal compito di andare a cercare ambiti in cui sia possibile risparmiare. Bisogna però garantire la trasparenza di un’analisi seria della spesa pubblica. E non va tuttavia dimenticato che la qualità dei servizi rappresenta comunque un vantaggio competitivo, un fattore importante per chi investe, persone e aziende che necessitano di certezze. Einaudi diceva: conoscere per deliberare. È chiaro che in praticamente tutti i contesti ci possono essere dei margini di risparmio, ma non sulle prestazioni sociali, già ridotte all’osso. Ma estendiamo il ragionamento, se spending review deve essere, andiamo anche a vedere le categorie di spesa corrente e degli investimenti: cosa consideriamo spesa, cosa consideriamo investimenti…

Marazzi: Se qualcuno pensa che attraverso una spending review si potrà risolvere il problema del finanziamento di questi nuovi oneri, gli va detto che è soltanto una grande illusione. Puntare tutto sulla revisione della spesa sarebbe sinonimo di una chiara mancanza di strategia da parte delle forze politiche che inseguono questo fantasma.

Rossi: C’è poi un ulteriore aspetto da sottolineare: il mandato per una spending review verrebbe probabilmente affidato ai soliti istituti di ricerca. Istituti che pur di assicurarsi gli incarichi tendono a soddisfare gli interessi politici del committente.

Nel frattempo, in caso di paralisi parlamentare, oppure per via di possibili referendum, un eventuale compromesso sul finanziamento potrebbe richiedere anni. Tuttavia l’applicazione delle iniziative, se la volontà popolare verrà rispettata a breve termine, andrebbe a incidere sul debito pubblico: fin dove lo Stato si può spingere su questo fronte?

Rossi: Proporrei in questo caso un prestito pubblico, ossia l’emissione di obbligazioni statali mirate a finanziare dal 1° gennaio 2026 questo aumento dei sussidi Ripam. Sarebbe una soluzione transitoria, finché verrà trovata un’intesa a livello politico. Tale debito potrà poi essere rimborsato una volta che le persone inizieranno a beneficiare di questi aiuti e spenderanno questi soldi nel circuito economico locale. Lo Stato potrà così recuperare tramite la fiscalità maggiori risorse e riuscirà a rimborsare i prestiti. Come dice Mario Draghi, c’è un debito buono e un debito cattivo. Se il debito pubblico viene utilizzato per finanziare gli investimenti fa parte di quello “buono”, e vi inserirei quello per il finanziamento del tetto del 10% tramite la Ripam. Da quanto mi risulta, tra l’altro, il debito pubblico del Canton Ticino è ragionevole sia rispetto al Pil, sia rispetto agli investimenti pubblici, sia rispetto al patrimonio dello Stato.

Marazzi: C’è da dire che sia per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, sia per quello relativo a deficit/Pil siamo molto virtuosi, quasi troppo…

Questi sono anche i giorni del Preventivo 2026 ed emerge ancora la dicotomia tra chi vede nell’equilibrio delle finanze cantonali una premessa per il buon funzionamento dello Stato, e chi invece lo ritiene una conseguenza a cui tendere grazie all’intervento pubblico.

Rossi: L’equilibrio deve essere tra i due piatti della bilancia. Se si guardano solo le uscite, si tratta di una visione miope e scorretta. Qui possiamo citare il famoso “buon padre di famiglia”: lui non dice soltanto “posso spendere x, perché guadagno y”, ma guarda anche ai bisogni della sua famiglia. Questo discorso a maggior ragione vale per lo Stato, che dovrebbe essere in grado di distinguere tra necessità di investimento e la spesa corrente, tenendo inoltre presente quella che è la sua funzione anticiclica per l’economia. Ne è una buona prova il periodo della pandemia: se lo Stato aumenta la spesa pubblica ne trae vantaggio il settore privato. È così che si innesca un circolo virtuoso: maggiore dispendio, maggiore crescita, maggiore gettito. Ed è lì che lo Stato può raccogliere le risorse fiscali per pagare i debiti. Chiaro che se poi in questi periodi i politici, guardando alle prossime scadenze elettorali, decidono di tagliare le aliquote d’imposta per accontentare certi settori e mantenere al sicuro le proprie poltrone, le risorse per pagare i debiti non si recuperano più. C’è poi da considerare che a preventivo, sia a livello federale che cantonale, si tende a esagerare l’entità del disavanzo, per legittimare l’idea di ridurre la spesa pubblica. Poi a consuntivo spesso si registra, se non un avanzo, un disavanzo assai inferiore.

Marazzi: Non c’è alcun dubbio che da oggi in avanti ci sarà un forte aumento delle uscite: oltre alla Ripam ci sarà Efas, l’abolizione del valore locativo, la popolazione che invecchia, ecc. Prepariamoci dunque a un periodo in cui ci sarà come minimo un confronto politico-ideologico molto forte.

Professori, per concludere questa lezione di economia politica, di che altro bisognerebbe prendere nota?

Rossi: Si parla sempre del debito pubblico che si lascia alle prossime generazioni. Ma questo debito, se fatto con intelligenza, permetterà alle prossime generazioni di vivere meglio. Mentre i tagli a favore delle persone benestanti (leggasi: gli sgravi fiscali, ndr) non hanno mai portato grandi benefici; quelli invece sulle persone fragili faranno molto male.

Greppi: Alle generazioni future lasceremo un patrimonio ma pure uno scempio ambientale. Di questo si parla molto poco. La grande questione riguarda che tipo di società e che tipo di sviluppo vogliamo, per noi e per le generazioni future.

Marazzi: Riprendendo quanto si diceva all’inizio: il voto di domenica dovrebbe sancire la fine di un modello neoliberale. Da questa situazione di crisi – che come ogni crisi è anche un’opportunità – se ne verrà fuori soltanto se riusciremo davvero a cambiare paradigma.